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Gilardino: “Noi i primi a fermarsi. Questa catena va stoppata”

Ha alzato una coppa del mondo e segnato 250 gol. Il calcio è stato ed è la sua vita, ma oggi si è fermato prima che arrivasse un decreto. Alberto Gilardino, da agosto allenatore della Pro Vercelli, ha appoggiato in pieno la scelta del presidente Massimo Secondo di fermare l’attività sportiva del club piemontese.

“Stamattina ci ha convocato per comunicare la sua decisione e mi sono trovato assolutamente d’accordo. Era troppo rischioso per i giocatori, ma soprattutto per le loro famiglie”, racconta al microfono di gianlucadimarzio.com.

“Nei giorni scorsi Vercelli è diventata zona rossa. Noi abbiamo cercato anche prima di prendere le dovute precauzioni durante gli allenamenti: borracce personalizzate col numero, fisioterapisti con i guanti, un metro di distanza negli spogliatoi. Ma un gruppo di 30 persone va inevitabilmente a contatto. E non potevamo permetterci di continuare.

 

L’allenatore della Pro Vercelli, quattordicesima nel girone A della serie C, ha sempre vissuto con equilibrio la sua carriera. Sempre sul filo, sempre attento a non andare in fuorigioco. Questa volta la scelta della Pro Vercelli è stata un primo segnale per non mandare in offside il sistema sanitario. Tutti noi dobbiamo fare qualcosa per aiutare il nostro Paese adesso. I numeri dei letti nelle terapie intensive scarseggiano. Sarebbe bastato un contatto con una goccia di sudore di un contagiato e avremmo messo a rischio la vita di qualche familiare degli atleti. Adesso il Coni ha preso una strada e se sarà confermata dal Consiglio Federale tanto meglio. Ma anche se avessero deciso di continuare, noi saremmo rimasti fermi. Avremmo perso a tavolino, ma non avrebbe avuto alcuna importanza in questo momento”.

Pur non ritrovandosi in gruppo, i calciatori della Pro Vercelli nei prossimi giorni potranno allenarsi. “In 3 o 4 per volta avranno la possibilità di andare allo stadio e svolgere un lavoro fisico. Distanti l’uno dall’altro, in orari diversi per piccoli gruppi. La cosa fondamentale è che non ci sia contatto tra loro”.

Gilardino ha apprezzato le parole della settimana scorsa del suo collega Jurgen Klopp e non vuole avventurarsi in discorsi sul virus, anche se si augura che “il messaggio di restare a casa sia arrivato a tutta la popolazione italiana”.

Nel suo passato calcistico c’è anche un’esperienza in Cina, il Paese che per primo ha avuto a che fare con il Covid-19 e che prima degli altri ha preso misure risolutive. “Mi associo alle parole dette dal mio ex commissario tecnico Marcello Lippi, che conosce anche meglio di me la Cina. Loro sono drastici nelle regole. Per noi è più difficile esserlo, ma credo che, se sarà necessario, lo sarà anche il nostro Governo. E rispetteremo tutti quelle regole per venirne fuori. Dovremmo essere noi intelligenti a seguirle”.

Alberto Gilardino parla sempre al plurale. Come se 60 milioni di italiani fossero suoi compagni di squadra. Lui che è stato il centravanti artefice di una delle gioie collettive più grandi della nostra vita, oggi è diventato il portabandiera di una ritirata. Difendersi oggi è il miglior attacco al virus. È un colpo di tacco, come quello per Del Piero che ci fece abbracciare. Oggi possiamo farlo solo virtualmente. Restare uniti, rimanendo distanti almeno un metro. Una guerra da vincere. Ognuno a casa sua. “La gente deve capire. Quello che abbiamo di fronte. E quello che sta succedendo”. Il giorno che vinceremo questa battaglia, ci stringeremo ancora più forte. Come quella notte a Berlino.

Claudio Giambene

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