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Il mondo di “Giggi”. Riva compie 72 anni, gli auguri di una persona speciale… : “Vi racconto ‘Rombo di tuono’ “

“Piuttosto sto fermo un anno, ma lì non ci vado”. A pronunciare questa frase fu, nel 1963, un ragazzino di Leggiuno, dotato di un grande talento e un sinistro devastante. Quel “lì” era riferito a Cagliari e quel ragazzo era colui che poi ne è diventato il re, Gigi Riva. Nato il 7 novembre del 1944, Riva, oggi settantadue candeline, non passò un’infanzia felice. A 13 anni rimase orfano del padre, vittima di un incidente sul lavoro, e dovette subire il distacco dalla madre e dalla sorella, che preferirono mandare “Luigino” in collegio.

“La sua vita è sempre stata caratterizzata da un velo di tristezza” – racconta la “fonte” di GianlucaDiMarzio.com – “Veniva da una famiglia molto povera. Perse il papà quando aveva 13 anni e la mamma quando ne aveva 17. Nel momento in cui cominciò ad affermarsi nel mondo del calcio i genitori non c’erano più e lui si è sempre sentito questo peso addosso, non aver dato a loro le soddisfazioni che meritavano. La mamma e il papà l’hanno cresciuto tra mille difficoltà e lui per questo gli è eternamente grato. Per quanto riguarda lo scudetto, beh la conoscono tutti la storia. E’ una favola irripetibile…”.

“Diventare un calciatore professionista era un sogno che coltivavo ventiquattro ore su ventiquattro. In collegio più che studiare facevo le formazioni per l’intervallo, quando tutti andavamo a giocare…” ci raccontò Riva. Già, una fissa quel pallone. Anche se con gli anni qualcosa è cambiato: Ha sempre fatto di tutto per evitare che i figli, grandi appassionati come lui, entrassero in questo ambiente” – riprende la fonte – “A lui il mondo del calcio è piaciuto tanto da giocatore, ma adesso ha un’idea ben precisa e preferisce così“. E in famiglia com’è? “Ha cercato di essere sempre un padre e un nonno presente, anche se, chiaramente, spesso il suo lavoro lo teneva lontano da casa. Con i figli e i nipotini è sempre stato una persona affettuosa”.

A tavola come se la cava? “Non è mai stato una grandissima forchetta. Ha una predilezione per il salame e, mentre da ragazzo impazziva per la carne, qui in Sardegna è stato difficile resistere ai piatti a base di pesce. E con l’andare avanti dell’età un bel minestrone è ciò che mangia con più gusto”. Hobby? “Lui è in generale un grande amante dello sport. Oltre che a calcio, la sua vita, ha giocato a tennis, a ottimi livelli. Poi è un grande appassionato di golf e amava andare a pesca. Con l’avanzare degli anni il suo passatempo preferito sono diventate lunghe passeggiate per la citta, in mezzo alla sua gente”. Prima che scoppiasse l’amore per il Cagliari per chi batteva il cuore di Riva? “Da bambino tifava Inter, mentre idoli calcistici non ne aveva. Il suo atleta preferito è sempre stato Fausto Coppi. Il padre lo portava a vedere le gare di ciclismo e così lui è nato e cresciuto con il mito di Coppi”.

Cosa ha insegnato Riva? “L’onestà, sotto tutti i punti di vista. Mai imbrogliare nessuno, materialmente e moralmente. Ha un carattere molto complesso. Probabilmente l’infanzia difficile lo ha indurito: non è una persona semplice. Difficilmente si fida di qualcuno e per ottenere la sua fiducia ci vuole veramente un rapporto speciale, non la conquisti così facilmente. Però questo non gli ha mai impedito di essere una persona buona, generosa e giusta. La coerenza è un’altra delle sue qualità”. Che tipo di tifoso è? “Non guarda più da un pezzo partite di calcio, né allo stadio, né in tv. L’amore che prova per il Cagliari e per la Nazionale gli impediscono di vederle in modo tranquillo, gli mettono ansia. Preferisce aspettare il termine e poi vedere tutti i risultati: è una persona molto emotiva. Però naturalmente il Cagliari è la sua vita e unpezzo del suo cuore”.

A 18 anni la chiamata dall’isola, allora famosa per i banditi e per i pastori. Riva non ci stava, si oppose. Era la stellina delle giovanili del Legnano e già si diceva un gran bene di lui. Alla fine accettò, a malincuore, convinto dalla sorella Fausta, che gli faceva anche da madre. Anche i tifosi cagliaritani, un po’ per carattere, un po’ perché ancora non aveva dimostrato nulla, all’inizio furono diffidenti. Poi una doppietta al Napoli cambiò tutto. La maglia 11, numero scelto in onore dell’attaccante interista Skoglund, diventò sua, per sempre (nel 2005 il Cagliar ha scelto di ritirarla). Gli anni passano e Riva diventa il re di Cagliari. Rifiuta le offerte di Intere Juve, disposte a scucire fino a un miliardo, cifra pazzesca per l’epoca, pur di averlo. Lui sceglie di diventare “pecoraio” a vita e in quel momento diventa eroe per il popolo sardo, che tuttora lo adora. Ma diventa anche un simbolo per il calcio italiano. Nei paesi, accanto all’immagine della Madonna c’è la foto di GiggiRivva.

“La Sardegna per lui rappresenta la famiglia che gli è venuta a mancare troppo presto. E’ casa sua. Molte persone che ha conosciuto qui sono diventate parte della sua vita, hanno sostituito certi affetti. Il modo di vivere, il carattere dei sardi è molto simile al suo. Per questo dice spesso che lui è un sardo nato in Lombardia. Per la Sardegna, invece, lui rappresenta un riscatto e una rivincita. Un sogno, quello di milioni di sardi che attraverso lui hanno avuto un riscatto sociale. L’isola in quel periodo aveva una fama non proprio simpatica. In posti come Lombardia e Piemonte gli emigrati sardi non erano trattati benissimo e attraverso Riva hanno avuto una rivincita indescrivibile. Tutt’ora è amato anche dalle nuove generazioni per la bellissima pagina della storia del popolo sardo che ha scritto”.

Cosa rimane oggi del mito di Gigi Riva? Sarebbe facile rispondere il record di gol in maglia azzurra, 35 in 42 partite o la frase che ancora oggi i giocatori del Cagliari portano nella maglia “Campioni d’Italia 1970”. Oppure ciò che rimane dell’Amsicora, l’arena in cui il gladiatore di Leggiuno ha disputato la maggior parte delle sue battaglie, o ancora il centro di coordinamento, vero tempio, ricco di cimeli e foto che raccontano un pezzo di storia del calcio italiano. Ciò che rimane veramente di Riva è l’esempio. Riva ha capito perché a un certo punto ci si trova davanti alla triste decisione di abbandonare la Sardegna. Ma la sua voglia di non arrendersi di fronte alle ingiustizie, di caricarsi nelle difficoltà, di ribellarsi, lo ha spinto a rimanere e a vincere. Riva ha scoperto cosa significhi il vero affetto e quanto, paradossalmente, sia difficile abbandonare l’isola. Questo grande esempio, a prescindere dalle generazioni, è un motivo in più, quando lo si incrocia per strada in Via Dante, con il suo cappotto e gli occhiali scuri, per sorridergli e stringergli la mano.

Prima di chiudere l’articolo è il momento di svelare l’identità della fonte… : “Cosa auguro a Riva per il suo compleanno? L’augurio che qualsiasi figlio dovrebbe fare a un padre, che possa vivere sereno, in salute e con l’amore di tutti i suoi cari. Passerà la giornata con le sue nipotine, ne ha cinque e potrà riceve quell’affetto di cui in alcuni fasi della sua vita è stato ingiustamente privato. Auguri papà”.

Francesco Caruso

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