Categories: Interviste e Storie

Gigi Meroni, farfalla granata

La farfalla granata è volata via troppo presto. Quando Gigi Meroni, il 15 ottobre 1967, perse la vita investito da un’automobile in corso Re Umberto a Torino, dopo una partita del suo Toro contro la Sampdoria, aveva appena 24 anni. Il destino gli ha sottratto la possibilità di dimostrare al mondo ciò che di lui si affermava con certezza, e cioè che di numeri 7 così, il calcio italiano non ne aveva e non ne avrebbe mai più visti. 

Dal Como al Genoa

Nato a Como e rimasto orfano da bambino, Luigi detto “Gigi” Meroni aveva cominciato a giocare nelle giovanili della squadra della sua città, pur continuando la sua attività di disegnatore e pittore “in erba”. Acquistato dal Genoa, aveva subito destato le attenzioni delle grandi squadre del campionato: dopo un triennio in Liguria, ecco, nel 1964, il passaggio al Torino, che ebbe anche l’effetto di scatenare le ire dell’allora tifoso rossoblù Paolo Mantovani, futuro grande presidente della Sampdoria scudettata. 

Baffi e rivoluzione

Gigi non amava i riflettori, ma suo malgrado fu oggetto fin da giovanissimo di una eccezionale attenzione mediatica: non solo e non tanto per le sue prodezze in campo, o per i suoi baffi da divo, ma anche e soprattutto per la relazione con Cristiana Uderstadt, una donna sposata; la notizia del rapporto fra i due affilò inevitabilmente le penne delle riviste, e si guadagnò la censura dell’Italia benpensante e moralista dei primi anni Sessanta. 

La tragica morte

Meroni era l’uomo mandato dal destino. A questo pensarono i tifosi granata cogliendo l’omonimia con quel Pierluigi Meroni pilota dell’aereo schiantatosi su Superga il 4 maggio 1949. Un quadriennio di discese sulla fascia, reti e giocate decisive fece sì che le attese non venissero deluse. Ma come in un mito, Gigi scontò l’invidia degli dei del calcio per la sua bellezza e la sua gioventù in quella sera d’ottobre, quando una vettura con alla guida Attilio Romero, futuro presidente del Torino fino al fallimento di inizio anni 2000, ne tranciò di netto il futuro. Da 54 anni la farfalla ha smesso di volare, ma il suo volo leggero non svanirà mai dal ricordo di chi lo ha amato. 

a cura di Andrea Monforte

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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