Gianpaolo Ormezzano screen
È morto uno dei colleghi più stimati nella storia del giornalismo dello sport italiano: calcio, ciclismo e non solo. Aveva 89 anni. Lascia un grande vuoto
Fa già strano chiamarlo Gian Paolo. Perché Ormezzano per tutti, e non solo per il settore, era Gpo. Una delle firme più prestigiose e autorevoli del nostro giornalismo, ma anche una delle più umili. Sapeva benissimo chi era, ma non voleva mai sottolinearlo, come a dire: “Perché dovrei essere diverso?”.
E infatti non mancava mai di rendersi disponibile: telefonate, interviste, opinioni, punti di vista. Tutto pur di continuare a fare quello che ha sempre cercato di fare: raccontare. Raccontare lo sport che più amava, il ciclismo, o il calcio, dove giocava la sua squadra del cuore, il Torino.
Perché del Toro era innamorato quasi quanto della sua città, con quella flessione piemontese che nemmeno cercava troppo di celare. Da direttore di Tuttosport, aveva titolato “Toro, lassù qualcuno ti ama” nell’anno dell’ultimo scudetto vinto dai granata (stagione 1975/76): uno dei legami più belli che potesse vedere tra la squadra di Pulici e il Grande Torino.
Da direttore di “Alè Toro”, invece, aveva raccontato la realtà granata da vicino anche negli ultimi anni del fallimento, quelli che antecedettero l’era Cairo.
Era così tifoso, Ormezzano, da essersi meritato l’intitolazione di un Toro Club a Melfi, ai cui eventi sociali cercava sempre di essere presente. Come per tutte le altre occasioni a cui veniva invitato come ospite: gli piaceva la compagnia, sapeva essere di compagnia, e aveva una capacità di esprimere il suo punto di vista con una lucida ironia che ha sempre voluto applicare anche verso sé stesso.
“Non dite che abbia mai lavorato”, ripeteva più volte, quando gli si faceva notare quello che aveva fatto in carriera (tra le altre cose, ci sono anche le Olimpiadi invernali del 2006 raccontate con grande passione). Anche a chi, molto più giovane di lui, cercava di chiedergli qualche consiglio.
Perché questo Gpo infondeva: la voglia di chiedergli “ma come hai fatto?”. Lui sorrideva e ti spiegava. Come fa un padre a un figlio o un nonno a un nipote. E lui ai suoi nipoti era affezionatissimo, lo ripeteva sempre. Se lascia un vuoto a noi, non possiamo immaginare come lo lasci alla sua famiglia (citiamo solo il figlio Timothy, anche lui appassionato giornalista dello sport torinese e non solo).
Se ne va dopo Natale, uno dei momenti dove il concetto di ‘famiglia’ diventa qualcosa di intrinsecamente forte e che ci rende la figura di Gpo ancora più vicina. Mai ingombrante ma con quel sorriso sornione sulla faccia. Sincero, ma ironico al punto giusto.
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