Categories: Interviste e Storie

Cinquemila pisani a Genova: diario di una trasferta storica

Ore 09:00. Suona la sveglia. La sera precedente non ci si è risparmiati, quindi le occhiaie sono vistose, il sonno è tanto, ma la voglia di più: è il giorno di GenoaPisa. Una trasferta segnata sul calendario da agosto. Un mio amico è riuscito a prenderci i biglietti senza dirci nulla, sapendo che organizzandoci avremmo perso più tempo che altro, e che tanto saremmo venuti. Siamo in quattro. Amici storici, non il gruppo al completo, ma buoni. Oltre a noi ce ne saranno altri cinquemila, in un vero e proprio esodo toscano verso il Ferraris.

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Alzato dal letto, l’ansia inizia a salire. Preparo lo zaino con dentro il minimo indispensabile, quindi scelgo l’abbigliamento: jeans, felpa, giacchetto, cappello (sicuramente a Genova farà freddo), occhiali da sole e soprattutto la sciarpa, quella fortunata, anche un po’ sporca a essere onesti, ma vissuta. Non può mancare. Una volta pronto, inizia l’attesa. La macchina con i miei amici arriva alle 12, con mezz’ora di ritardo rispetto alla tabella di marcia. A cose normali mi sarei innervosito, ma oggi è un giorno speciale: basta arrivare vivi a Genova entro il fischio d’inizio. Guardando il telefono, inizio a vedere foto di amici/conoscenti già in Liguria, a godersi il panorama mangiando pasta al pesto. Noi, invece, siamo più “sportivi”: sosta al supermercato, qualche schiacciata dal gusto improbabile, una vaschetta dal reparto rosticceria, qualche birra, e il pranzo è pronto. Luogo della consumazione? In macchina, per strada.

Durante il viaggio pensiamo alla partita, a cosa potrebbe succedere, all’emozione di vedere la squadra della propria città giocare in uno stadio storico come Marassi. Ci esaltiamo incontrando altri tifosi in autostrada, le sciarpe vengono fatte sventolare: qualcuna la abbiamo trovata anche sull’asfalto. Come ho detto, l’euforia è tanta. Dopo due ore e mezza, abbandonata l’autostrada ligure, con tanti lavori in corso e a lunghi tratti a una corsia, arriviamo a Genova, dove ci rechiamo al parcheggio dedicato agli ospiti.

Soltanto arrivati lì ci accorgiamo quanti effettivamente siamo. Una distesa di macchine a godersi l’aria salmastra che arriva dal mare, appena davanti al parcheggio, mentre i tifosi iniziano ad accalcarsi nei cinque pulman a disposizione per raggiungere lo stadio. Prima di salire, l’importante è non perdersi tra noi: se mi fossi allontanato dagli altri allora, probabilmente li avrei ritrovati la sera. Una volta dentro, iniziano i primi, veri, cori. La partita iniziamo a sentirla. Anzi, per noi è già iniziata: la voce è già poca e rauca. Nel tragitto vedo bambini, magari alla prima trasferta, che osservano tutto con gli occhi spalancati, pieni di gioia e curiosità, seduti a fianco ai genitori, e anziani, che di questi viaggi ne hanno fatti così tanti che dai ricordi potrebbero trarne una saga.  

Giunti allo stadio, lungo la fila ai tornelli mi sale l’ansia per la partita. Passati i controlli, l’impatto con il Ferraris è importante: che cornice di pubblico. Uno spot per il calcio e per il campionato: non da Serie A, non in tutti gli stadi del massimo campionato si possono vedere certi panorami. I miei occhi diventano come quelli dei bambini visti prima in pulman. In 22 anni di vita, è la prima volta che vedo la squadra della mia città giocare una partita di campionato in uno stadio così importante. Penso subito e continuamente “Ma quanti siamo?”. Saluto gente, ritrovo amici, perdo i miei a momenti, per poi ritrovarmeli sulla balaustra a cantare. Le bandiere si alzano, così come i cori e le sciarpe. Il nerazzurro diventa protagonista sugli spalti. La mia visuale sul campo diminuisce. Nel settore ospiti, stracolmo, mi ritrovo in cima, piegato per non sbattere la testa e con il vento di mare che mi picchia sul collo: menomale mi sono portato il cappello, ma un mal di schiena…

 

Credits. Pisa Sporting Club

 Della partita, poco da dire, un gol annullato per parte e un’espulsione per il Pisa (Marin). Vale la pena tenere gli occhi sugli spalti, guardare le facce della gente vicina, di chi, con gli occhi lucidi si guarda attorno, ricordandosi di tutte le trasferte sui più improbabili campi di provincia, Serie D, C, fino a godersi questo ambiente che porta la mente a proiettare i più rosei futuri, ma godendosi il momento, considerandolo una ricompensa per i loro sforzi. Terminata la gara, la squadra saluta, applaude i propri tifosi, aumentando quella simbiosi totale presente da anni e sempre più forte. Arriva anche Puscas, ora al Genoa, a omaggiare il tifo che pochi mesi fa era anche il suo. Applausi ricambiati per lui che è stato a una traversa di distanza da portare il Pisa in Serie A.

Una volta usciti dallo stadio, il percorso è lo stesso. Puoi sentire la gente parlare, dicono tutti la stessa cosa: “Per come si era messa lo 0-0 va benissimo”, che poi è quello che penso anche io. Sul pulman c’è chi ancora voglia di cantare, a me esplode la testa. Saliamo nuovamente in macchina alle 20:00. Il pensiero è solo uno: sostenere il nostro amico alla guida, non volendo brutte situazioni… Dopo essersi persi in quel continuo saliscendi che è Genova, imbocchiamo l’autostrada: da lì non puoi sbagliare, è tutto a diritto fino a Pisa. Mentre uno di noi si addormenta, noi altri tre continuiamo a parlare, non abbiamo più nemmeno voglia della musica. Arrivo a casa alle 22:30, dopo una trasferta di dieci ore. Stanco, ma felice, perchè giornate come oggi so già che presto diventeranno bei ricordi.

 

Lorenzo Vero

Nato all’ombra della Torre Pendente nel giugno del 2000 e studente di Informatica Umanistica. Bastian contrario per natura, ho iniziato a seguire il calcio perché ai miei genitori non piaceva. Sin da quando ero un bambino riempio la testa dei miei amici con aneddoti calcistici di ogni genere. Con gli anni, assieme alla barba, è cresciuta anche la mia passione per questo gioco. L’obiettivo adesso è quello di raccontare in modo veritiero (con il cognome che mi ritrovo…) e appassionante anche la meno appetibile delle partite.

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