POLIGNANO A MARE – Mi ritrovo seduto da solo con le braccia che stringono le ginocchia, accovacciato sugli scalini della piazza. Di fronte a me il mare. E che mare! Alle mie spalle la statua di Domenico Modugno che sembra tanto Ibra nella sua classica esultanza. Ad un tratto il mio sguardo si sofferma su due bambini, di circa 8-10 anni, seduti a pochi metri da me: guardano un video sul loro smartphone. E hanno una palla con loro, un pallone bianco con delle stelline blu.
In realtà è come se non lo avessero perché lo ignorano. Per me, invece, quell’oggetto tondo come il mondo è stato ed è il mio mondo. E più guardo la linea del cielo che si fonde con il mare, più riaffiorano nella mia testa ricordi indelebili.
Tutto iniziò con il Polignano di terza categoria. I rossoverdi mi accolsero dalla strada e dai campi di papà Lorenzo e mi affidarono presto una maglia da titolare. Avevo 22 anni.
Guardo il mare, fisso la skyline e mai mi sarei aspettato che la mia carriera continuasse ancora oggi. Sì, da quel lontano giorno. Da Polignano a Conversano in seconda categoria e mi pagarono ben 200 mila lire per assicurarsi i miei “talenti” . Ma anche la seconda mi stava stretta: in quegli anni ero al top fisicamente e riuscivo a segnare davvero tanti gol. Cosa darei per tornare a quello stato di forma! E allora eccomi in promozione, eccellenza e serie D, prima del grande salto nei professionisti in serie C2 con il Monopoli.
Non mi è stato regalato nulla, è stata la mia forza di volontà abbinata ad una smisurata determinazione e passione a portarmi fin qui. Non faccio altro che ripeterlo a mio figlio. Nessuno ti regala niente caro Lorenzo mio. Devi andare a prenderti tutto quel che desideri soltanto con le tue forze e la tua ambizione. E anche col tuo sinistro che hai ereditato da me. Non dovrai né bere né fumare e abbi sempre cura del tuo corpo. Se lo farai, lui risponderà presente in tutte le occasioni. I vizi ti distoglieranno dai tuoi obiettivi. Io ne ho avuto solo uno. Già, le donne. Tantissime figlio mio. Ma poi dovrai essere bravo a dire basta perché conoscerai la donna della tua vita. Come io ho conosciuto tua madre Catia con cui sono sposato da quasi 24 anni.
Immerso nei miei pensieri noto che i ragazzini sono sempre lì, ancora con il telefono in mano ed il pallone abbandonato vicino ai loro piedi.
Ritorno ai miei ricordi e credo fossero gli anni 75’-76’ e in Coppa Italia, era Monopoli-Matera, giocai una grandissima partita contro la squadra di Gigi De Canio, allenatore che ha militato in diverse squadre di serie A. Mi vengono i brividi a pensare al gol della vittoria che realizzai quel giorno. Così come 9 anni dopo quando mi ritrovai di fronte ad Enrico Albertosi, portiere della nazionale nonché di Cagliari, Fiorentina e Milan; ci tenevo tanto a far gol quel giorno, ma purtroppo, mi fa rabbia dirlo, non ci riuscii. Rabbia però che si trasformò in gioia immensa quando col Noci in serie D disputammo un’amichevole con l’allora AS Bari.
Mamma mia che partita quel giorno allo “Stadio della Vittoria”! Andammo due volte in svantaggio, ma riuscimmo a pareggiare i baresi negli ultimi minuti. Feci una doppietta e nel gol del pareggio misi a sedere con una gran finta un certo Massimo Carrera (un anno dopo acquistato dalla Juve di Trapattoni) prima di scagliare un interno destro all’incrocio dei pali. Mi sentivo fortissimo e la mia autostima era alle stelle. Pare che l’allenatore del Bari Gaetano Salvemini abbia chiesto al nostro ds: “Ma chi è quel numero 9?”
Quel numero 9 da quasi 10 anni pratica anche il futsal tra Monopoli, Polignano e Castellana e siccome non mi accontento mai, la domenica sera organizzo anche un torneo di calcetto con gli amici a Polignano. Giusto per non farmi mancare niente e per la felicità di mia moglie che a casa non mi trova mai.
Mi rendo conto di avere gli occhi lucidi. Ma oggi mi fa sorridere se penso che mi chiamano il “Mohamed Salah delle Puglie” per via della somiglianza, peccato che l’egiziano del Liverpool di destro sia più scarso di me. L’umiltà Gennaro, mannaggia a te. Sarà che assomiglio a Salah anche per via dei capelli lunghi che avevo, ma un giocatore più di tutti mi ha avvicinato a questo meraviglioso sport: Gianni Rivera, il Golden Boy con la 10 dietro le spalle. Che classe e che eleganza!
Chissà se sarei riuscito ad arrivare ancora più in alto nel calcio. Mah, forse sì, ma ad oggi non mi interessa più. Bisogna essere coerenti con le proprie scelte di vita. Io giurai fedeltà al senatore e non mi pento se, ancora oggi, sono il suo autista personale.
Ho soltanto due rimpianti in questa lunga carriera: il primo fu il pareggio tra Noci e Fasano che decretò il nostro addio ai sogni di promozione in serie C2. Se c’è una partita che vorrei rigiocare è proprio quella.
Il secondo fu la perdita di una persona eccezionale, un amico, un fratello: Luciano Volarig è stato un uomo straordinario e Dio se lo portò via troppo presto. Avevamo un rapporto incredibile e quando c’era lui era anche più divertente giocare. Prima della sua scomparsa mi regalò un paio di scarpe da calcio. Le conservo ancora oggi.
I miei occhi lucidi si sono trasformati in una pioggia di lacrime. Vorrei tanto che Luciano fosse ancora con noi. Porto le mani al volto per asciugare le guance quando il pallone dei ragazzini sbatte contro il mio piede. “Scusa signore, non volevamo colpirti! Ci può ripassare la palla?” I ragazzini si accorgono delle lacrime: “Stai bene? Perché piangi?” Sono a testa bassa e sono realmente scoppiato a piangere. Ai ragazzini dico che è tutto ok. Ma, nel frattempo, uno dei due: “Ma tu non sei Gennaro? Gennaro Lomelo vero?” Mi avevano riconosciuto e non tanto me l’aspettavo.
“Ma sei un grande Gennà! Ti ho visto l’anno scorso giocare al palazzetto. Giochi ancora a pallone? Ho sentito tanto parlare di te. Ma quanti anni hai?”
Sono proprio io, sì! E giocherò a pallone anche quest’anno. Ho ancora tanto da dare al calcio. Non so se qui a Polignano o a Castellana, ma giocherò di certo. Non riesco a vivere senza pallone nonostante la mia carta d’identità reciti 27 settembre 1955.
“Ma come? Hai compiuto 63 anni la settimana scorsa e giochi ancora a calcetto?”
Sì, proprio così…
Dopo quella breve chiacchierata, io e i due ragazzini saliamo gli scalini e iniziamo a giocare a pallone su tutta la piazza. Le mie lacrime presto diventano sorrisi e il pallone bianco con le stelline blu, finalmente, viene preferito a quello stupido telefonino.
(Che però ha permesso a Niccolò Pascale di scrivere questa storia al posto mio: non ne sarei stato capace. Preferisco parlare con i piedi).
A cura di Niccolò Pascale
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