“Non ci sono i presupposti per riprendere, non ci sentiamo sicuri”. Parole ferme e decise, senza alcun giro di parole. Daniele Gastaldello non vuole tornare a giocare, non in questa situazione. Il capitano del Brescia, una della città più colpite dal coronavirus, ha raccontato a La Repubblica come sta vivendo questo periodo di quarantena.
“Abbiamo paura, tutti noi qui a Brescia conosciamo qualcuno che ha perso un familiare a causa del virus – continua l’ex difensore della Sampdoria -. Ci chiedono di giocare, di concentrare dodici partite in un mese e mezzo. Non è giusto, la salute dei giocatori viene messa a rischio. Parlo a nome personale e per i miei compagni: se il prezzo della ripresa è farci male, non ne vale la pena”.
L’incertezza sulla ripresa del campionato, e sulla ripresa degli allenamenti, è un nodo da sciogliere al più presto secondo Gastaldello. “Chi deve decidere decida, non si può rimandare ancora. La Uefa dice che il campionato deve finire a inizio agosto, siamo alla prima settimana di maggio e non ci siamo ancora allenati”.
Alcune squadre, tra cui Milan, Torino e Juventus, hanno iniziato a controllare i propri tesserati in via di una ripresa individuale degli allenamenti. “Non è stato giusto partire scaglionati. Noi a Brescia ancora non abbiamo ricominciato, e non siamo gli unici. Tutte le squadre di Serie A avrebbero dovuto riprendere nello stesso momento”.
Pur non potendo andare nei centri di allenamento, anche il Brescia si è attivato con allenamenti a domicilio attraverso piattaforme digitali. “Seguivamo un programma sulla piattaforma Zoom – racconta Gastaldello. Allenamenti sulla forza, pilates e svolgevamo il programma di un allenatore di boxe. Qualcuno correva in giardino, altri sul tapis roulant. Ma il calcio è un’altra cosa, non è solo corsa”.
Nonostante i diversi lati negativi, il numero 5 delle “Rondinelle” ha approfittato del periodo di quarantena per godersi la famiglia. “Di questa quarantena mi resterà il tempo con mio figlio. La mia famiglia vive a Siena e li vedevo poco, ho riscoperto il gusto di aiutare i bambini a fare i compiti. Mio figlio non mi ha chiesto mai di poter uscire in questi mesi, gli bastava avermi lì”.
L'intervista completa sulle pagine di "La Repubblica"
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