Quando debuttò in panchina in Serie A si regalò una vittoria contro l’Inter di Trapattoni con il suo Empoli, merito di un gol di Osio. A Bari è stato l’unico allenatore a vincere un trofeo internazionale (la Mitropa Cup del 1990), diventando il più vincente nella storia del club biancorosso. Nella Genova rossoblù è stato l’ultimo allenatore dell’età moderna a sollevare un trofeo: l’Anglo-Italiano (5-2 nella finale di Wembley il 17 marzo 1996 contro la formazione inglese del Port Vale, con storica tripletta di Ruotolo). Ovunque sia andato ad allenare, Gaetano Salvemini è stato ricordato come un gentiluomo. È morto all’età di 82 anni a Reggio Emilia, dove si era stabilito da anni, ma era nato in Puglia, a Molfetta. Che fosse destinato a farsi ricordare era scritto nel nome e nel cognome, gli stessi dello storico, politico e antifascista vissuto tra la fine dell’800 e la metà del ‘900 che si studia sui banchi di scuola.
Nei libri di chi ama il calcio il nome del Gaetano Salvemini allenatore non è certo tra le voci banali. Un passato da centrocampista poliedrico tra le giovanili del Milan, Molfetta, Alessandria, Venezia, Mantova, Como, Lucchese, Siena ed Empoli, proprio in Toscana aveva iniziato la carriera da allenatore. Prima nel settore giovanile, poi guidando la prima squadra a due salvezza in C1, prima di chiudere al quinto posto nel campionato 1980/81. Tornò al Castellani nel 1985, dopo tappe intermedie a Reggio Calabria, Ferrara, Caserta e Terni. E firmò la promozione dodici mesi dopo. Tanti a Empoli ricordano la sua intervista dopo quella vittoria contro l’Inter del Trap, da neo promosso. «A livello personale c’era un problema, fino a quel momento mi avevano chiamato “Salvempoli”, in quel caso avevo ottenuto una promozione, quindi erano costretti a cambiarmi soprannome». Salvemini era così: pane, calcio e ironia. «Meglio due feriti che un morto» disse sorridendo quando alla guida del Bari ottenne il quarto 0-0 di fila contro il Genoa di Scoglio. «Un signore nel vero senso della parola – lo ricorda oggi Fabrizio Corsi, presidente dell’Empoli – dalla spiccata personalità e dai contenuti umani incredibili che non lasciava indifferenti. Un personaggio che ha scritto la storia di questa società in più vesti, che saluto e salutiamo con grande affetto e commozione».
Se la Toscana era la seconda casa, il richiamo della Puglia e di Bari si fece sentire nel 1988. Squilla il telefono, dall’altro lato c’è Vincenzo Matarrese, presidente biancorosso. Torna nella sua regione, ottiene la promozione in Serie A con con sole tre sconfitte (record per il club biancorosso) nella stagione 1988/89 e nel 1990 vince la Mitropa Cup. In squadra scorre sangue sudamericano: ci sono il difensore argentino Néstor Lorenzo e i brasiliani Gérson, centrocampista del Palmeiras, e Donizetti, punta del Guarani, giocatore che in Brasile conoscono come Joao Paulo. E poi il molfettese Angelo Terracenere, uno dei più commossi nel ricordarlo sui social. Il fato ha voluto che la data della morte di Salvemini coincidesse col novantesimo anniversario dello Stadio della Vittoria. Già, proprio quell’impianto in cui aveva vissuto alcune delle migliori gioie da allenatore.
Dopo Bari Salvemini ha allenato Cesena, Palermo, Cremonese e chiuso a Monza. Nel mezzo il Genoa. Voluto da Spinelli nel 1995 al posto di Gigi Radice dopo la retrocessione, fu esonerato nonostante il trionfo di Wembley e sostituito da Perotti. Spinelli, pentito, lo richiamò in squadra per poche settimane nella stagione 1997/98. Delle sue esperienze in panchina parlava volentieri ancora con i cronisti. Occorreva telefonare rigororosamente al telefono di casa, con la moglie Vittoria pronta a mettere in contatto tutti con il suo Gaetano. Un gentiluomo del calcio, di poche parole e dai tanti contenuti. Al pallone di oggi mancherà tanto.
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