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Due volte Belotti. Il Toro a cresta alta verso l’Europa

Per capire chi è Andrea Belotti, bisogna partire dalla scena finale. Le mani incrociate dietro la testa, incredulo per un errore nel finale di partita. Frosinone-Torino è appena finita e l’ha risolta lui. Porta tre punti a casa, ma non il pallone. E non se ne capacita: in contropiede ha fallito il gol dell’1-3, la ciliegina su una torta interamente realizzata da lui.

Doppietta nel secondo tempo per ribaltare il Frosinone e mandare il Torino al sesto posto in classifica. Un colpo di testa poderoso per il pareggio e un’acrobazia per il sorpasso. Gol da centravanti, gol da Andrea Belotti. Quello di un tempo, quello tornato ai suoi livelli. Per la seconda domenica di fila ha messo la mano alla fronte e alzato la cresta: non gli capitava dal settembre 2017 di gioire per due giornate consecutive.

Segni inequivocabili di un ritorno, la voglia di ipotecare una maglia da centravanti nella Nazionale che verrà. Il Gallo vuole esserci, dopo aver pianto e girato a vuoto fra Stoccolma e San Siro. Una delusione che si è portato dietro nella scorsa stagione, la peggiore da quando veste granata: dieci reti, sedici in meno rispetto all’anno precedente. Un flop che ha affrontato come sempre: testa bassa e lavoro.

Da bambino nonna Maria gli regalava un salame ogni volta che segnava, oggi i premi di Cairo sono più pregiati. Ma Andrea non è cambiato: viveva per il gol all’oratorio di Gorlago e continua a farlo adesso. Otto giorni fa aveva mille dubbi per la testa: zero gol nel 2019, un’astinenza dura da digerire. Prima della partita col Chievo, Cairo lo aveva guardato negli occhi dicendogli: “Oggi segni, tranquillo”. E così è stato. Ovviamente, tolto il tappo, i gol hanno iniziato a sgorgare. Reti di rabbia e di volontà, il suo marchio di fabbrica.

MEGLIO FUORI CHE IN CASA

Reti corsare, perché Belotti quest’anno segna soprattutto fuori casa: 7 reti su 10 sono arrivate in trasferta. Due doppiette: una a Frosinone, l’altra in casa della Samp. Nel Toro giunto al settimo risultato utile consecutivo, c’è tanto del suo giocatore simbolo. Prestazioni da leader nel momento in cui il Toro era chiamato a fare il salto di qualità. Lo sta facendo: tre vittorie consecutive, una solidità di squadra dimostrata in ogni reparto. E pazienza se l’imbattibilità di Sirigu si è fermata a 599 minuti. In quel momento, in svantaggio sul campo della penultima in classifica, Belotti si è ribellato al destino. Con la rabbia per salire sopra tutti sul cross di Iago Falque, con la scaltrezza per rovesciare in porta una sponda di Ola Aina. Due assist dei subentrati, segno di un gruppo sempre sul pezzo.

Sul fianco ha un tatuaggio che dice che “i limiti, come le paure, sono spesso solo un’illusione”. Ne aveva tanti di limiti quando in provincia di Bergamo nessuno lo considerava un potenziale prospetto. Lui ci ha sempre creduto, da quando urlava il nome del suo idolo Shevchenko nei gol segnati per strada. Un paio d’estati fa, Cairo respinse assalti da tutt’Europa per quel numero 9 che non sbagliava un colpo. Quest’estate nessuno riparlava di lui. Non ha aspettato il suo momento, seduto lungo la riva. Ha corso, sofferto, lottato e alla fine ritrovato se stesso.

Ma sicuramente neanche adesso sarà soddisfatto. Perfezionista, come sempre, ripenserà a quel pallone calciato sull’esterno della rete nel finale. Domenica prossima ritrova un Sinisa Mihajlovic, che sa già cosa significa affrontare un Belotti in fiducia e affamato. Una volta se ne giovava, oggi se lo ritrova contro.

Il Gallo è tornato, sono tutti avvisati. Cresta alta, direzione Europa.

Claudio Giambene

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