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Ferguson e Motta: corsa e divertimento. La forza di un legame che fa sognare Bologna

C’è chi lo fa per necessità. Per fuggire. Chi per salvare qualcuno o qualcosa. Altri per acquisire fiducia in sé stessi. Per capire fino a quanto e dove possono spingersi. O senza una ragione precisa. La ricerca dell’ignoto che accompagna la vita. La follia che si mischia alla ragione per generare idee. Tutti prima o poi sentiremo il bisogno di correre. Per vedere e godere di quello che verrà alla fine del tragitto. La corsa come propulsore del cambiamento. Della rigenerazione e dell’acquisita consapevolezza di importare. Si riassume così il valore di Lewis Ferguson nel Bologna di Thiago Motta. In una parola, in un gesto che va oltre il mero aspetto tecnico: corsa. Il centrocampista rossoblù è il motore inesorabile di una squadra bella, sorprendente e fuori dagli schemi. Il prima che lascia spazio al dopo. Nel segno di una speranza che potrebbe riscrivere il corso della storia. “Dalle scarpe di una persona si capiscono tante cose: dove va, dov’è stata”. Il futuro? Il gusto della fatica.

 

Di corsa: la Bologna di Lewis Ferguson

Correre. Che sia per scappare o per piacere il risultato non muta. Al termine del percorso non sarai mai quello dell’inizio. Un allenamento intenso o un viaggio. All’arrivo non ricorderai nulla della partenza. A volte la stanchezza e la fatica prenderanno il sopravvento, altre ti renderai conto di quanto forgino sudore e sfinimento. E la quotidianità diventerà eccezione. Correre. Non fermarsi davanti a nulla. Non pensare alla fine perché conta solo ciò che c’è nel mezzo. La ricerca dell’“Io” passa dalla resistenza. Che tu sia Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino nell’inconscio dell’icona che diventerai o un giovane Tom Hanks nella parte di un ragazzo fragile e malato intento a costruirsi un mondo attorno. A fare da collante a tutto questo ci sono i sogni che uno dopo l’altro, in uno scorrere incessante di immagini spronano la mente del “maratoneta” di turno. Può succedere anche su un campo da calcio. Nella banalità di rincorrere un pallone con migliaia di persone a incitarti. In uno degli stadi più maestosi e importanti. Lì dove la Maratona diventa simbolo. Lewis Ferguson lo sa. La consapevolezza del suo ruolo è il motore della sua corsa. Le sue gambe sono il mezzo con il quale trasforma in realtà l’aspettativa di una città. Rende onore alla Bologna che lo accoglie. Un centrocampista che, mai come nel suo caso, può definirsi “Box to Box”. Quel tipo di calciatore che in Premier League è il prototipo della perfezione. Perché? Facile: corre. Tanto. Per tempi lunghissimi. Lui lo fa in un Bologna che rievoca “lo Squadron che tremare il mondo fa”. 12,4chilometri di media percorsi a partita per il classe 1999. Una misura che lo proietta al vertice di questa speciale classifica del campionato di Serie A. Indispensabile. Nove presenze su nove, una sola sostituzione contro il Milan e la bellezza di 807 minuti in campo. Fra i giocatori di movimento solo Beukema fa meglio: 810. L’olandese non viene mai richiamato in panchina. La profonda fiducia da parte di Thiago Motta. Il faro che illumina la buia e difficile “maratona” di Lewis e del Bologna.

 

Ferguson e Thiago Motta: una fiducia fondata sul divertimento

Una luce chiara, distinta e ben visibile. Quella del divertimento. Per stessa ammissione del numero 19 rossoblù – sulle colonne della Gazzetta dello Sport – è questa la chiave di lettura per comprendere il valore del Bologna griffato Motta. È una squadra che gioca con entusiasmo e frenesia di dimostrare il proprio talento; nei singoli come nel collettivo. Giocatori che vanno in campo con il sorriso e la consapevolezza del pregio della maglia che indossano. Che l’avversariosia l’Inter di un intenibile Lautaro o il Frosinone della sorpresa Soulé. In campo si va per Bolognaintera. E si entra con lo scopo di divertirsi e divertire. Il “credo calcistico” di Thiago Motta. Parola di Lewis Ferguson. E nessuno si esime: dal portiere all’attaccante. Perché, in fondo per l’ex allenatore del PSGI ruoli non esistono. Dunque, può succedere che un giocatore come Ferguson, il cui habitat naturale è la mediana, possa trasformarsi in un abile trequartista e contemporaneamente ingranare la retromarcia e tornare indietro a dar man forte a Beukema, Lukumi e Calafiori per frenare gli assalti avversari. Ma può anche accadere che quel ragazzo venuto dalla Scozia recuperi quel pallone, alzi la testa ed effettui un lancio preciso per gli educati piedi di Zirkzee davanti a oltre sessantamila sciarpe nerazzurre. Facendo calare il gelido vento d’oltre Manica su un caldo pomeriggio milanese. O perché no, un assist al bacio per Orsolini sulla fascia che decide di regalarsi come “specialità” del pranzo della domenica il pallone della prima tripletta in rossoblù. Perché il Bologna mette le ali, ma il volo lo spicca con la rincorsa di Lewis Ferguson.

 

 

Lewis Ferguson: quando il calcio è questione di sangue…e follia

Il ragazzo viaggia veloce. Il nome e le origini non mentono. Hamilton è la sua città natale, la Hamilton Academical il suo “warm up” dopo le prime esperienze nella squadra dello zio Berry: i Glasgow Rangers. Il cui titolo di Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico trasforma la storia in leggenda. Eredità? Nessun peso. Così come non lo è la carta di identità che alla voce cognome recita: Ferguson. Quel Sir. Alex che non ha bisogno di presentazioni e che in Scozia considerano la genesi del “football” locale. Le analogie che diventano legge. Lewis corre come papà Derek in quella Premier League che incide nel suo cuore l’ammirazione per Lampard. Alla continua ricerca del nuovo; di quel qualcosa che lo trasformerà al suo arrivo in Italia. Quel “Corri Forrest, corri!” oggi riecheggia fra i portici del capoluogo emiliano nella formula: Corri Ferguson, corri!”. Da Porta Sant’Isaia a Porta Saragozza fino a San Luca. Verso il traguardo delle porte del Renato Dall’Ara. Quelle che Lewis vuole sfondare. Se possibile più di sette volte. Guardare solo avanti. I chilometri già percorsi sono la benzina per il viaggio. Correre per inseguire quello in cui si crede. Questo sta facendo Ferguson in Emilia e con lui i ventisettemila cuori pulsanti seduti sugli spalti dello stadio per il match con il Frosinone. In cui Lewis quella porta la trafigge proprio dopo uno scatto intenso. E come ogni film che si rispetti la colonna sonora è il valore aggiunto. Sulle note di Thiago Motta portaci in Europa!” Bologna riassapora la storia. Perché in fondo: I sogni sono una breve pazzia e la pazzia un lungo sogno”. Ci sarà sempre una panchina sulla quale fermarsi.Non importa se crederanno a questa storia perché sarà talmente bella che varrà comunque la pena raccontarla. Lewis Ferguson, il Forrest Gump che corre per Bologna.

Alvise Gualtieri

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Alvise Gualtieri

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