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Fagioli: “Ho pianto quando ho lasciato la Juventus, Motta non mi considerava”

Nicolò Fagioli, centrocampista della Juventus (Imago)

I retroscena dell’addio di Nicolò Fagioli dalla Juventus: il racconto del centrocampista della Fiorentina sul suo rapporto con Thiago Motta. 

Un Nicolò Fagioli senza freni quello che ha parlato al Corriere dello Sport raccontando i retroscena del suo addio alla Juventus in questo mercato di gennaio.

Il centrocampista della Fiorentina ha anche spiegato come siano stati i viola i più attivi a convincerlo: “C’era il Marsiglia, c’erano diversi club. Ho scelto chi mi ha voluto di più, sono state fondamentali le chiacchierate con Pradè, con Goretti e Palladino. Moise? Lui mi ha detto ‘vieni qui che si sta bene’. Il Viola Park è davvero fantastico”.

Un cambio importante che però gli è stato utile, come sottolineato da lui stesso, in quanto ha ritrovato quella leggerezza per giocare bene.

“Mi sono riappropriato della mia vita… Alla Juve sono stato undici anni, quando a fine dicembre ho deciso che me ne sarei andato mi sono sentito più leggero. Ma nel momento dell’addio ho pianto. Una bella botta. Ho pianto senza accorgermene, quel giorno mi sono reso conto che si chiudeva una lunga fase della vita, lasciavo i posti, i compagni, il tragitto di tutti i giorni. È stato traumatico. La Fiorentina mi ha accolto con tanto affetto e la novità ha finito per prevalere sul resto”, ha spiegato Fagioli.

Le formazioni ufficiali di Panathinaikos-Fiorentina
Nicolò Fagioli, Fiorentina (Imago)

Allegri o Motta? Fagioli spiega la differenza

Parlando del suo periodo alla Juventus con i due allenatori Allegri e Thiago Motta, Fagioli ha spiegato: “Alla Juve devi vincere vincere vincere, non puoi sbagliare. Se sbagli vai fuori. E se sei il giovane diventi il primo cambio e nessuno dice niente. Solo Allegri mi ha dato la possibilità di giocare con continuità. Dopo Genoa e Lipsia Motta non mi ha più considerato. Firenze mi ha restituito il piacere e la leggerezza. Fagiolino è morto, oggi sono Nicolò”.

“Piacere e leggerezza che erano perdute? Quando sai che l’allenatore non ti vede, se manca la fiducia ti prepari peggio, vai al campo, senti la pesantezza dell’allenamento e naturalmente non rendi. Se entri per tre, quattro minuti e ti dicono che devi entrare meglio, dentro di te scatta qualcosa di negativo. La testa gira diversamente”, ha infine concluso Nicolò.