“Ho sempre dato il massimo per raggiungere ciò che per gli altri era impossibile. A 7/8 anni giocavo bene sì, così diceva il mio allenatore, ma la differenza la fa la testa. Sono molto autocritico. La mentalità è la cosa più importante di tutte”, inizia così l’intervento di Cesc Fàbregas a il Festival dello Sport di Trento, evento organizzato da La Gazzetta dello Sport.
Lo spagnolo racconta com’è nata l’idea di intraprendere la carriera da allenatore. “Quando c’era il Covid era tutto fermo. È stato lì che ho iniziato a frequentare il corso Uefa B per fare l’allenatore. Era una cosa che desideravo in quel momento della mia vita”.
“Io e la sconfitta non siamo amici. Io non sono un giocatore, ma il leader di una squadra. Se la mattina dopo una sconfitta sono negativo e con la testa bassa, anche gli altri saranno così. Abbiamo un’idea molto chiara di dove vogliamo arrivare e di come farlo”, ha proseguito Fàbregas nel suo intervento.
“Perché il Como? Mi è piaciuto molto il progetto quando ho iniziato a parlare con la società. Io cercavo un progetto a lungo termine. Mi hanno dato la possibilità di finire la mia carriera in campo e di iniziare quella da allenatore. Io sono molto esigente e pesante. Tutto quello che io dico da allenatore è perché l’ho vissuto da calciatore. Questa cosa è un vantaggio per un allenatore ex giocatore. Non mi piace essere un dittatore, preferisco analizzare. Prima del calciatore c’è l’uomo e deve esserci una connessione con l’allenatore”.
Lo spagnolo ha poi proseguito: “Il mio sogno è portare il Como il più lontano possibile. Ora abbiamo anche un centro sportivo che sta crescendo e un grande staff. Se oggi un giocatore arriva in ritardo all’allenamento manca di rispetto a tutti. Il rispetto e la disciplina sono importantissimi.
Progetto Como? La società non mi ha chiesto niente. Vogliamo crescere con le persone giuste, con persone che dedichino la propria vita al Como. Stiamo crescendo su tutto: società, campo, centro sportivo, cultura, tifosi… Due anni fa non c’era quasi nulla. Siamo cresciuti molto velocemente. Quest’anno la cosa più importante per noi è la salvezza. Como in Europa? Non è una follia pensarlo, è un sogno. Speriamo di riuscirci un giorno”.
“Migliore allenatore in circolazione? Ce ne sono tantissimi. Arteta è un allenatore bravissimo, che sta facendo un lavoro incredibile all’Arsenal. Ha iniziato praticamente da zero. Sono sempre stato un fan del Barcellona. Mio nonno mi ha portato al campo quando avevo 9 mesi ma non ricordo nulla (ride, ndr) e mi hanno chiamato quando avevo 9 anni. Non avrei mai pensato di fare quello che ho fatto. La cosa più bella? Il primo gol, il primo anno dove abbiamo vinto praticamente tutto. Il mio idolo era Guardiola: vedeva la giocata prima di tutti, era spaziale.
“Non ero incredibilmente bravo a scuola. Ero una persona molto chiusa e tutto quello che succedeva lo tenevo dentro. Il calcio era una fuga di felicità. Era quello che mi divertiva insieme ai miei amici. Il calcio mi ha fatto capire che le cose più importanti sono la scuola e lo sport. Altri miei amici hanno preso le strade sbagliate. Mio papà è mia mamma mi hanno educato molto bene. La mia mentalità è questa: io cerco di essere positivo. Nello spogliatoio tutti sanno le regole, se le rispetti possiamo iniziare a parlare di calcio”.
Fàbregas ha parlato poi di un evento doloroso della sua gioventù, il divorzio dei suoi genitori: “L’ho gestito andando a La Masia, perché non avrei potuto gestire un weekend da mio papà e uno da mia mamma. La famiglia è importantissima per me chiaramente. È stato una specie di “regalo” che la vita mi ha dato per maturare più velocemente“.
“Londra mi ha cambiato. Arsène Wenger è stato tutto per me. Lui ha creduto in me. Mi chiedeva della famiglia, della scuola… mi parlava di cose non normali per un allenatore e ti faceva sentire parte del suo progetto. Avere una persona così nella propria vita è importantissimo. Quello che mi faceva sentire lui non si può spiegare. Andare in campo e sapere di avere dietro una persona che crede molto in te ti fa sentire bene e la tua testa lavora meglio”.
“Il Barcellona è un grande club, con un grande allenatore e il giocatore più forte della storia, per me. Il giorno in cui Messi è arrivato dall’Argentina aveva 11/12 anni ed era piccolissimo. Noi stavamo facendo un allenamento 1 contro 1. Io con tutta la fiducia del mondo l’ho affrontato facendo due/tre finte, poi sono scivolato e Messi ha fatto gol. Lui non parlava, lo faceva solo dentro il campo. A 14 anni l’allenatore in una partita l’ha portato via perché gli avversari gli continuavano a fare fallo per fermarlo. Era in giocabile”.
Fàbregas si è poi espresso sul rapporto con alcuni allenatori, tra questi Mourinho: “José è stata una persona molto speciale. Mi ha colpito e mi ha fatto sentire una persona importante. Mi ha detto che se fossi andato là avremmo vinto la Premier League. Lui era convinto di questo. Ha vinto quello che ha vinto perché è un allenatore bravissimo”.
Nel corso de il Festival dello Sport di trento, Antonio Conte è intervenuto con un videomessaggio rivolto proprio a Fàbregas. Queste le parole dell’attuale allenatore del Napoli: “Ho avuto il piacere di averlo come calciatore. La sua carriera parla da sola. Calciatore molto aperto ad ascoltare e ad apprendere. Spero di avergli lasciato qualcosa. Voleva sempre sapere di più e faceva un saco di domande. Abbiamo condiviso insieme momenti bellissimi al Chelsea. Dopo la partita col Como abbiamo parlato: mi sento vecchio quando vedo miei ex calciatori in panchina”.
“C’era grande umiltà e grande e rispetto l’uno per l’altro. Ci credevamo tutti. Eravamo tutti fratelli. Non pensavamo di vincere la partita, volevamo solo godercela. Poi il risultato arrivava da sé. Per me la perfezione non esiste e io potevo fare di più. La nazionale mi ha dato tantissimo. In questa generazione c’erano calciatori fortissimi che non giocavano con noi, per capire il livello: Juan Mata, Santi Cazorla...”, le parole di Fàbregas.
Per concludere, un pensiero su Iniesta: “Ha un’umiltà incredibile. Non si arrabbia mai, è sempre sereno. Ti fa il dribbling e salta l’uomo. È un giocatore fortissimo, ma soprattutto un uomo fortissimo. Io mi ricordo della persona. Nel momento difficile, lui c’era sempre. Nel momento complicato si vede l’uomo e lui ne ha avuti parecchi. È stata una bandiera per il Barcellona e per la Spagna”.
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