Consapevolezze – Esposito: “Mamma Napoli”

Un viaggio per Napoli, le sue strade, la passione della gente, la camorra e il calcio. Un viaggio con Gianluca Esposito.
Il centrocampista del Renate si è raccontato nella lettera a Consapevolezze, partendo dalle sue origini. Una storia iniziata a Ponticelli, uno dei quartieri napoletani in cui la presenza della malavita è più forte. “I ragazzi crescono con il mito della violenza, dei soldi, delle armi. Chi ruba, chi spaccia, chi usa le pistole. A 6 anni sono sul motorino, a 12 anni girano armati. L’anno scorso è morto un ragazzo che faceva il doposcuola da mia mamma. Appena uscito da galera l’hanno ammazzato. Ce ne sono tante di storie così. Se non si nasce li, non si può capire davvero.”
Lui la strada giusta l’ha scelta fin da subito. L’ha fatto grazie alla famiglia e al calcio. L’esempio dei genitori, operai che per una vita si sono alzati alle 6 del mattino per portare da mangiare a casa, il pallone come passione presente da sempre, iniziata tra le vie del suo quartiere con gli amici.
E poi c’è la sua Napoli: ” a parole faccio fatica a descriverla. Napoli per me è come una mamma. Anche se non vivo più lì, me la sento addosso tutti i giorni. È dentro di me, non mi lascia mai. Se ci penso, mi emoziono.”
A Renate ha trovato una seconda famiglia, fondamentale anche durante l’infortunio. “Pensavo che fosse tutto finito”. Ora è tornato in campo, con l’amore di quel ragazzo che si trovava ogni pomeriggio con gli amici per infinite partitelle.
La lettera di Esposito
Se nasci a Ponticelli hai due possibilità: la legalità o la camorra. Io ho scelto la prima. Sono nato e cresciuto a Ponticelli, un quartiere di Napoli. Forse quello in cui la presenza della malavita è più forte. Sono tanti giovani che scelgono la violenza. Respiri quell’aria, vivi quell’atmosfera, cammini in quelle strade. Ogni giorno.
E ora la situazione è peggiorata rispetto a quando ero bambino. I ragazzi crescono con il mito della violenza, dei soldi, delle armi. Chi ruba, chi spaccia, chi usa le pistole. A 6 anni sono sul motorino, a 12 anni girano armati. L’anno scorso è morto un ragazzo che faceva il doposcuola da mia mamma. Appena uscito da galera l’hanno ammazzato. Ce ne sono tante di storie così. Se non si nasce li, non si può capire davvero.
Di sparatorie ne ho viste tante. Non ti abitui mai. Ho visto tanti amici morire. La fine è quella. O ti uccidono o vai in galera. Per molti diventa automatico esserne attratti: c’è il soldo facile, la prospettiva di una bella vita, ti fa sentire più forte e grande. Tra quelle strade cresci in fretta. Non ci sono altre possibilità. La prima sparatoria? Ricordo tutto. È ancora davanti ai miei occhi. Ero andato a prendere la pizza con un mio amico. Tornando a casa, passò una macchina, abbassò il finestrino e iniziò a sparare. Momenti che ti rimangono impressi.
Se sei un ragazzo intelligente capisci qual è la strada giusta da prendere. Da piccolo mi hanno salvato la famiglia e il calcio. Per me è stato qualcosa di naturale. La vita è il dono più grande che c’è, non aveva senso sprecarlo così. L’educazione dei miei genitori, il sostegno di mio fratello, l’amore per il pallone, la bellezza di questa città mi hanno guidato. Con Mamma Napoli sempre nel cuore. Perché Napoli è molto altro. La sua anima è nei quartieri, nell’essenza umile e popolare, nella passione della gente, in Maradona e Pino Daniele, nelle finestre sul mare. Napule è.
LA LETTERA INTEGRALE SU LACASADIC.COM