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Donbass, dove il calcio è in guerra da 8 anni

Ci sono luoghi del mondo in cui la guerra è una presenza assillante, quotidiana. E in cui il calcio va avanti, ma in una condizione sospesa, straniante; in cui costituisce un’ancora di salvezza, un conforto per popolazioni in lutto, ma anche un’efficace arma politica e diplomatica. Uno di questi luoghi è il Donbass, una regione dell’Ucraina sudorientale. 

Il toponimo “Donbass” è il frutto dell’unione di due parole, “Doneckij” e “Bassein”; individua il “bacino del Donec”, un fiume che corre fra Ucraina e Russia, affluente del Don. Negli ultimi 8 anni, il Donec si è spesso tinto di rosso sangue, come lo Xanto/Scamandro dell’Iliade omerica: dal 2014, sono circa 10mila le vittime nel conflitto fra Federazione Russa e Ucraina sorto per il controllo di un’area ambita soprattutto per le sue risorse naturali, minerarie in primis. 

Le due repubbliche indipendenti

In questi giorni, in cui un nuovo, più drammatico conflitto tra i due paesi sembra sempre più vicino, il Donbass è nuovamente al centro di mire incrociate. Le prime bombe, accompagnate dalle prime morti, sono state sganciate proprio in questa regione. Il Donbass, infatti, ospita due repubbliche autoproclamatesi indipendenti nel maggio del 2014, quella di Luhansk e quella di Donetsk, non riconosciute ufficialmente nel consesso internazionale fino a lunedì 21 febbraio, quando il presidente russo Vladimir Putin ne ha legittimato l’esistenza. Le due entità para-statuali sono dichiaratamente filo-russe, e i loro abitanti si sono espressi, con un contestato referendum popolare, a favore dell’annessione alla Russia. 

 

 

Il Donbass ha due squadre di calcio decisamente più blasonate delle altre, rispettivamente lo Shakhtar Donetsk per la Repubblica di Donetsk e lo Zorya per quella di Luhansk. Dallo scoppio del conflitto di 8 anni fa, né lo Shakhtar né lo Zorya hanno più disputato le loro partite casalinghe nei rispettivi stadi. Anzi, il proprio stadio lo Shakhtar lo ha visto raso al suolo da due bombe nell’agosto del 2014. Si tratta(va) della Donbass Arena, costruita in 4 anni, fra il 2005 e il 2009, stadio avveniristico concepito per gli Europei di Polonia e Ucraina del 2012; 550 milioni di euro per il progetto, categoria 4 Uefa, la più alta possibile. 

Zaporizhia e Kharkhiv

Dopo i bombardamenti, lo Zorya si è trasferito a Zaporizhia, nel sud-est del paese, dove ha anche ospitato la Roma nei gironi della attuale edizione di Conference League, partita terminata con un 3-0 per i giallorossi (in rete El Shaarawy, Smalling e Abraham). Lo Shakhtar invece ha scelto una sede molto lontana, L’viv, altrimenti nota come Leopoli, al confine con la Polonia, salvo poi optare per la più vicina Kharkhiv, pochi chilometri a nord di Zaporizhia. Perché non scegliere subito Kharkhiv? Perché l’escalation non aveva risparmiato nemmeno la regione a est di Donetsk, come raccontò qualche anno dopo il “Papu” Gomez in un’intervista: Al Metalist trascorsi un anno terribile, mi servì solo dal punto di vista economico. La gente girava per strada coi mitra, io e la mia famiglia eravamo terrorizzati anche ad andare al supermercato”. Alla Donbass Arena giocò e vinse nel 2012 la Juventus, mentre l’Atalanta, la Roma e l’Inter, che hanno affrontato lo Shakhtar in Champions ed Europa League in tempi più recenti, hanno giocato all’OSK Metalist di Kharkhiv. 

 

 

Insostenibile abitudine

Attualmente, la Premier League ucraina è ferma, e riprenderà nel prossimo weekend, a condizione che il contesto esterno lo consenta. Lo Shakhtar di De Zerbi, che guida la classifica a più 2 sulla Dinamo Kiev dopo 18 giornate, ha trascorso il ritiro invernale in Turchia, dove si trova tutt’ora. Lo Zorya è atteso, venerdì 25, all’anticipo contro il Mynaj, da giocarsi in trasferta. È lecito immaginarsi che molti dei calciatori delle due squadre abbiano  familiari e amici che ancora vivono nel territorio delle due repubbliche, lì dove i beni di necessità cominciano a scarseggiare e dove si riaprono i rifugi sotterranei anti-bomba inaugurati nel 2014. Sospesa, irreale, drammatica: sono gli aggettivi più adatti a descrivere la condizione in cui il calcio ucraino si appresta, salvo tragiche novità, a ripartire. Ma ormai, da 8 anni, da queste parti è una insostenibile, lacerante abitudine

 

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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