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Dimarco e non solo, quando il giocatore diventa allenatore

Terzino, esterno, a volte quasi attaccante. Ma non è finita qui. Per Federico Dimarco potrebbe esserci un nuovo ruolo. Quale? In panchina. No, non come riserva, piuttosto come allenatore. O magari come aiutante di Simone Inzaghi. Il motivo? Lo si capisce guardando le immagini degli ultimi 20 minuti di Udinese-Inter. A guidare e sostenere i giocatori in campo e a dare le indicazioni non c’è solo l’allenatore nerazzurro. Insieme a lui c’è anche il numero 32, incontenibile tra consigli tattici e parole e gesti di incitamento per i suoi compagni. Negli ultimi della partita ha letteralmente preso il posto di Inzaghi, sedendosi al fianco del secondo Farris. “Non c’è nessun problema. Ma è tutta la panchina sempre attenta, i ragazzi volevano questa vittoria”, il commento dell’allenatore al termine della gara.

 

 

Ma non è la prima volta. È ormai un’abitudine già dallo scorso anno in casa Inter vedere Dimarco, spesso insieme a Barella, in queste “nuove vesti”. Immagini e simboli di attaccamento profondo alla maglia e di giocatori che ormai sono riferimento per i compagni e bandiere per il club. In campo e fuori. Anche in panchina. E non sono gli unici.

  

Da Ronaldo a Ibra: non solo giocatori

Leader in campo, anche quando non giocano. Federico Dimarco e Nicolò Barella sono solo alcuni esempi di quei giocatori che hanno provato qualche volta a cambiare ruolo e immedesimarsi nelle vesti di allenatore. L’immagine forse più famosa e significativa è quella di Cristiano Ronaldo nella finale di Saint-Denis all’Europeo 2016 contro la Francia. La sua partita dura 23 minuti. Infortunio al ginocchio, il portoghese si accascia a terra in lacrime. Da quel momento, però, inizia un secondo match. Al fianco di Santos in panchina diventa un vero e proprio allenatore. Indicazioni, applausi, urla. Fino al sogno di conquistare un trofeo con la sua Nazionale.

CR7 e non solo. Se ripensiamo alla nostra Serie A ci si può ricordare di altri due esempi: Zlatan Ibrahimovic e Leonardo Bonucci. Il primo nell’ultima parte della sua seconda esperienza al Milan, il secondo in quella alla Juventus: entrambi sono stati riferimenti per i loro compagni anche da bordocampo.

  

Dal campo alla panchina

E poi c’è chi aveva anticipato solo di qualche anno il proprio futuro. Chi? Un esempio è quello di Gennaro Gattuso, costante e coerente nel portare la sua grinta e forza anche quando in campo non poteva mostrarla. Emblematica una foto di Allegri che si confronta con lui durante una partita. E poi Daniele De Rossi nella notte di San Siro dove l’Italia vide sfumare i Mondiali, non riuscendo a superare la Svezia nei playoff per la qualificazione a Russia 2018. Ventura gli chiede di scaldarsi. “Dobbiamo vincere, mica pareggiare”, indicando Insigne al suo fianco. “Sono cose che succedono, che senatori come me a volte dicono”.
Insomma, gli esempi sono stati tanti. Perché è così, quando si è leader in una squadra lo si è sempre. In campo e in panchina.

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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