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Lopez è ancora ‘Jefe’: “Peñarol: scudetto fantastico. L’Italia? Ci tornerò”

In Uruguay sono le 18.00, le 22.00 italiane. “Chiamami a quell’ora, devo fare l’allenamento prima. Perché abbiamo vinto il campionato, sì, ma abbiamo un’altra partita prima di chiudere il torneo”. Da giocatore era per tutti “El Jefe”. Il capo. “Da allenatore adesso non vale più. Lasciamolo ad altri: nel mio Peñarol ci sono tanti giocatori che meritano questo appellativo: il nostro capitano Rodriguez, il bomber Fernandez, un certo Gargano”. Già, Gargano. Proprio quel Gargano: l’ex Napoli e Inter che insieme a Matheu, Varela, il suo collaboratore Michele Fini e soprattutto lui, Diego Lopez, hanno formato una piccola colonia italiana nel Peñarol. Da scudetto.

È una sensazione bellissima vincerlo” racconta l’allenatore in esclusiva a Gianlucadimarzio.com, “sono sempre stato tifoso di questa squadra anche se non ho mai avuto la fortuna di poterci giocare. Ma da uruguaiano vincere nel proprio paese è una gioia e quando mi è stata data l’opportunità di diventare allenatore, ho detto al volo di sì. Parliamo di una delle migliori squadre del nostro paese, è organizzata bene, vince molto e ha un progetto ambizioso”.

Che ha permesso a Lopez di vincere il suo primo trofeo da allenatore. Ci voleva l’estero per farcela. Perché dopo Cagliari, Bologna, Palermo e un Cagliari-bis, uscire dai confini era diventato quasi necessario. Un’esigenza. “Ma l’Italia resta per me importantissima. Non a caso ho preferito fare i corsi lì, perché ci sono i migliori esempi possibili. Basta vedere quanti sono gli allenatori italiani all’estero per capirlo. A chi mi ispiro? Tre in particolare: Allegri, Giampaolo e Mazzarri.

Il top in Italia, l’emergente ormai non più considerato tale e il maestro di un calcio della vecchia guardia che vuole rilanciarsi. “Allegri mi ha allenato nei miei ultimi due anni di carriera, con Giampaolo quello ancora prima. Sono preparatissimi: fare bene in un campionato come quello italiano è sempre difficile. E poi c’è Mazzarri. Ha un modo di impostare la squadra che mi piace moltissimo, è un gran lavoratore e sa trasmettere il calcio nel modo giusto”.

Sembra un fiume in piena. Parla, ha voglia di dire quello che pensa sul calcio italiano che gli piace da pazzi. “Sono sicuro che ci tornerò, è il mio obiettivo: sono nato e cresciuto come allenatore in Italia. Questa esperienza all’estero mi serviva a tutti i costi: ho un altro anno di contratto, ma poi vedremo” dice. Sa il fatto suo, gli piacciono le sfide. Anche quelle che sembrano impossibili: “ho lavorato in tre grandi società in Italia. Cagliari, Bologna e Palermo. In Sardegna ho avuto la spinta per cominciare, a Bologna nonostante l’esonero siamo riusciti a salire lo stesso (dico ‘siamo’ perché penso di aver comunque contribuito). Palermo? Era difficilissimo, lo sapevo. Ma anche questo è il calcio: con Zamparini a volte riesci, a volte no. Così come con Cellino, che ho avuto da giocatore. La cosa più importante è essere sempre se stessi, perché poi alla fine i presidenti così particolari vogliono allenatori decisionisti che si prendano le proprie responsabilità. Anche a costo di andare in contrasto con loro, anche a costo dell’esonero. Io l’ho fatto, Zamparini lo sa”.

L’Uruguay nel presente, l’Italia nel futuro. Magari con qualche campione che nel suo Peñarol è pronto a spiccare il volo. “La regola del gioco qui è così” commenta, “lo sappiamo. Appena un giocatore esplode, arrivano le proposte europee. E penso sia giusto che questi ragazzi giovani accettino. Nella mia rosa ne ho parecchi. Ho due esterni di centrocampo come Canobbio (20 anni, ndr) e Gonzalez (24, ndr) che ho sempre paura di non trovarli più un giorno. E poi anche un difensore come Formiliano o Busquets, che abbiamo fatto giocare a 17 anni. O Nuñez, attaccante di 19 anni molto promettente. Tutti giovani che a poco a poco stanno emergendo”.

Pronti per l’Europa, forse. Magari in futuro. “Ora il nostro obiettivo è lottare per le finali scudetto e per la Copa Libertadores, dove siamo entrati nella fase a gruppi” dice. Perché Lopez è così: un “Jefe” che pensa sempre all’obiettivo successivo. Ma non diciamolo troppo: preferisce non rubare la scena a nessuno.

Valentino Della Casa

Sportivo più da pc che da campo. Amo raccontare il calcio, dividendomi tra Torino e Milano. Ma amo anche la mia seconda casa: il mondo della scuola. Mi piacciono i casi unici, gli appostamenti, le notizie dell'ultimo secondo. Pubblicista dal 2011.

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