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I Fosbury del calcio: da Pelé a Panenka

Secondo una vecchia diceria, mai dimostrata da fonti scientifiche, gli esseri umani userebbero solo il dieci per cento del proprio cervello. Insomma nessuno di noi conoscerebbe, né tantomeno sfrutterebbe, la gran parte del proprio potenziale intellettivo, relazionale, fisico. 

Eppure nella storia dello sport esiste chi quella percentuale l’ha fatta crescere, o addirittura lievitare. “Un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità“, direbbe Neil Armstrong. In ogni disciplina, in ogni competizione, c’è stato chi è riuscito a fermare il tempo, a freezare gli occhi e i muscoli di chi li guardava. “Si può fare“, le parole che spezzano il silenzio. Uno di questi pionieri è stato sicuramente Dick Fosbury, scomparso oggi all’età di 77 anni

Chi sono i Fosbury del calcio: da Pelé a Panenka

L’incantesimo di Fosbury ha avuto la forza di ribaltare il mondo, anzi capovolgerlo: chi pensava, fino a pochi istanti prima di quel salto dorsale, che si potesse competere, anzi vincere, dando le spalle all’asta? E proprio nel giorno in cui il mondo celebra quel gesto compiuto nel 1968 e poi imitato da tutti, vengono in mente i Fosbury del calcio, atleti che hanno rivoluzionato questo sport, definendone l’estetica, incidendo il proprio nome nella storia.

I primi nomi da citare sono quelli dei due fenomeni che hanno cambiato per sempre la percezione collettiva del “futebol”, o “fùtbol”. Nei giorni in cui se ne piangeva la scomparsa, i social hanno ripescato migliaia di video di Pelé. Rabone, ruletas, elastici, tunnel: “Ma allora li ha inventati lui“, era il commento più ricorrente. Tutti allievi del suo tocco, capaci di percorrere il sentiero da lui inaugurato: il Federer del calcio, un atleta capace di circoscrivere la categoria del “bello” nella propria disciplina. Una somma di gesti tecnici, di volate e cambi di direzione, sterzate e accelerazioni compone il collage più iconico di sempre: il “gol del siglo“, Maradona, il “barrilete cosmico” che lascia a terra gli inglesi. Chi poteva immaginare, fino al giorno prima, che si potesse segnare scartando tutti gli avversari?

Ci sono poi dei gol entrati nella storia perché capaci di ampliare il lessico. Non esiste vocabolo adeguato per etichettarli, serve un neologismo. Ecco quindi il rigore “alla Panenka”, dal nome dell’attaccante cecoslovacco che per primo fece quello che in Italia chiamiamo “scavetto” o “cucchiaio”, agli Europei del 1976. Oppure il “vanpersiing“, il segnare di testa in tuffo da lontano, come van Persie ai Mondiali 2014 contro la Spagna. E come dimenticare un altro olandese, Marco van Basten, capace di un gol forse ineguagliabile per qualità combinata a importanza del momento, quello in finale agli Europei contro l’Unione Sovietica nel 1988. 

Ci sono anche molti altri esempi: dalla rovesciata di Parola al primo “gol olimpico” di Cesareo Onzari. Gesti visti e rivisti, ripetuti al campo con gli amici. Nello sport non esiste copyright. Eppure il merito di rovesciare il mondo, anche solo per un istante, non è replicabile

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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