L’importanza e l’incisività degli esterni Antonio Conte l’aveva prevista nel lontano 2011/2012. Quando alla guida della Juventus – proprio durante una partita contro il Napoli – decise di stravolgere il proprio piano tattico. Difesa a tre, centrocampo a cinque e due attaccanti. Risultato finale? Prima 2-0, poi 3-1. Quindi 3-3 con i gol di Estigarribia e Pepe. L’ex allenatore di Inter e Chelsea non è mai riuscito a fare a meno della spinta laterale. Da Lichtsteiner ad Hakimi, passando per Moses. La storia al Napoli non è cambiata. Conte ha ripreso da dove aveva lasciato. Quantità e qualità per un binomio vincente.
Dopo il 4-3-3 targato Spalletti – e che tanto aveva fatto innamorare i tifosi napoletani – l’ex Tottenham lo ha rispolverato. Rivisitato sì, ma con un effetto immediato. Con Politano che garantisce ampiezza e fase difensiva, Di Lorenzo è più libero di dire la sua dalla metà campo in poi. Dopo una stagione complicata, il capitano del Napoli appare un calciatore totalmente differente. La cura Antonio Conte funziona: “Stiamo lavorando da poco insieme ma ho subito apprezzato le sue qualità sia umane che calcistiche” aveva dichiarato il calciatore italiano. Detto, fatto. Sono già tre gol e un assist in quattordici presenze. Si veste da braccetto di difesa, per poi trasformarsi in esterno aggiunto.
Se dal lato destro l’ex Empoli riesce a essere un supporto con le sue puntuali sovrapposizioni interne, dall’altro Olivera gioca praticamente sempre. L’uruguaiano è ovunque. Rispetto a Di Lorenzo, entra maggiormente dentro al campo per liberare Kvaratskhelia sul lato sinistro.
Meglio di un tocco di Vucinic o di un inserimento di Vidal. Il vero marchio di fabbrica dell’era Conte alla Juventus è stato l’asse Pirlo-Lichtsteiner: lancio lungo dell’italiano per il taglio puntuale e preciso dietro alla difesa del terzino svizzero. Saranno 109 presenze, 9 gol (uno più pesante dell’altro) e 15 assist per l’ex Lazio. E cosa da non poco conto, 3 scudetti e diverse coppe nazionali.
Prima un periodo di conoscenza e applicazione, tra campo e panchina (come sta accadendo con Neres). Poi, la definitiva esplosione: solo una stagione per Achraf Hakimi, quanto è bastato per essere pedina essenziale nel trionfo nerazzurro di Antonio Conte. 45 presenze (tra campionato e coppe), 7 gol, 11 assist e un ruolo da assoluto protagonista. Arrivato in Italia come giovane talento, si trasforma in top player. Una crescita esponenziale che ha convinto il Paris Saint Germain a puntare su di lui.
Tra i vari Courtois, Kanté e Hazard perché parlare di Victor Moses e Marcos Alonso? Inaspettati quanto efficaci, sono stati loro i punti di riferimento ai quali Conte ha potuto basare il suo gioco in verticale. Corsa, abnegazione e tanta sostanza: sotto la guida dell’allenatore italiano si contano 8 gol e 7 assist per il primo (in 78 presenze), 16 reti e 7 assist per lo spagnolo. Centrocampisti prestati alla difesa e alla spinta laterale.
Prima le idee, poi tutto il resto. Da Torino a Napoli, il minimo comun denominatore è sempre lo stesso. Squadre con un’identità chiara e definita, grazie alla forza degli esterni. I numeri, per ora, danno ragione a Conte. E ai “suoi” quinti.
A cura di Lorenzo Bloise e Gennaro Del Vecchio
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