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Il gioco oltre il risultato: cosa ci stanno insegnando De Zerbi e Guardiola

Quante volte ci hanno detto che, nel calcio, il risultato è l’unica cosa che conta? Un ragionamento sbagliato? Certo che no. Nel calcio moderno, però, l’estetica sta prendendo sempre più il sopravvento e per i palati più sopraffini il menù che di solito servono le squadre di Roberto De Zerbi e Pep Guardiola è tra i più raffinati. 

 

Gli ingredienti più pregiati sono il controllo del gioco, il possesso palla e la fase offensiva. Tutti elementi che potrebbero far storcere il naso ai più tradizionalisti, abituati al solito piatto del “palla lunga e pedalare”. Arrivare al sodo senza però godersi ogni portata. Gli allenatori di Brighton e Manchester City dissentono. 

 

“Preferisco partire dal basso che lanciare lungo avendo il 50% di possibilità di conquistare il possesso” ha sempre chiosato l’allenatore italiano, abituato da sempre a chiedere ai propri giocatori una filosofia di gioco estroversa, anche nelle situazioni più difficili. Vedi il Benevento ultimissimo in Serie A nella stagione 2017/18. Poi il Sassuolo, lo Shakhtar Donetsk e oggi il Brighton, portato per la prima volta nella storia in una competizione europa al primo anno in Premier League di De Zerbi.

“Eh ma non ha mai vinto niente” il motto di chi è già arrivato al caffè. Eppure Guardiola, che di brindisi in carriera ne ha fatti (e parecchi), è dalla sua parte: “Roberto è uno degli allenatori più influenti degli ultimi 20 anni“. Lo stesso Pep accusato più e più volte di non essere un vincente solo perché la Champions League gli manca dai tempi di Messi al Barcellona sebbene abbia dominato nell’ultimo decennio in Germania e in Inghilterra. 

 

Il bacio alla medaglia d’argento nella finale perse contro il Chelsea è forse il simbolo della sua mentalità: la vittoria non è mai casuale così come la sconfitta e il calcio è straordinario perché puoi lasciare un’impronta anche senza vincere. Basti pensare al Loco Bielsa e Zeman o squadre come l’Ajax di ten Hag. Conta di più il “come” si vince. Tre punti in più o un trofeo “per caso” non ti faranno di certo arrivare al dessert o finire nel ristorante stellato del calcio mondiale.

Andrea Molinari

Nato a Verona nel 1998, il mio primo ricordo vivido legato al calcio è Shevchenko che sbaglia un rigore contro il Bayern Monaco. Grazie a lui (e anche a Kakà) da piccolo mi sono innamorato del pallone. Ma lui non lo sa. Sì, perchè ho giocato anche, purtroppo senza risultati. Nato attaccante, sono finito a fare il terzino: di solito succede a quelli con i piedi quadrati. Oggi provo a dimostrare questo amore scrivendo.

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