Interviste e Storie

Alle origini di De Ketelaere: “Nel tennis era il migliore, sognava il Real”

De Ketelaere da bambino al Club Brugge

Minuto 86’ di Atalanta-Empoli. 9 tocchi, tutti con il suo mancino e palla all’angolino.

Un gol che è quasi un manifesto del calcio di Charles De Ketelaere. 10 reti e 9 assist in 24 presenze e un talento a tratti dominante.

Ora con un pallone tra i piedi, in passato con una racchetta tra le mani: “Charles era il miglior tennista del Belgio della sua età”. Birger Van de Velde, uno dei suoi primi allenatori, ricorda bene quegli anni: “Fino a 14 anni ha praticato più sport, anche lo sci. Era forte in tutto”.

Poi a 14 la scelta e la crescita nel settore giovanile del Club Brugge. Dal nerazzurro della squadra con cui è cresciuto e si è affacciato all’Europa, a quello dell’Atalanta.

Nel mezzo il Milan, tra i paragoni con Kakà e le aspettative deluse: “Ma Charles è sempre stato il giocatore che ha tenuto duro in circostanze difficili. Ha sempre saputo spingersi oltre i propri limiti”.

Lo sport, la scuola e Giurisprudenza

Fisico longilineo, viso scavato e capelli biondi fin da giovane. La storia del piccolo Charles si lega subito al Club Brugge, squadra del suo cuore: “È partito dall’U7 ed è arrivato in prima squadra. Viveva vicino al centro sportivo, spesso veniva in bici”. Calcio, tennis e sci: “Era competitivo in tutto. Voleva sempre vincere, anche quando facevamo bowling come attività di team building. E vinceva spesso”.

Nello sport, come a scuola: “Era il più bravo nella classe, aveva ottimi voti in latino”. “Poi si è anche iscritto alla facoltà di Giurisprudenza. Era molto intelligente, come in campo”, ricorda Stijn Claeys, un altro suo allenatore ai tempi del Club Brugge.

De Ketelaere al Club Brugge

I problemi fisici e il possibile addio

Charles non è esploso subito, anzi alcuni anni faticava a giocare. Gli capitava di stare in panchina. Aveva un talento incredibile, sembrava pattinare in campo, ma fisicamente è cresciuto tardi”, ricorda Van de Velde. “Passò un momento difficile in U15 e U16. Il suo corpo iniziò a cambiare ed ebbe qualche problema. Ci volle del tempo per abituarsi. Non trovava molto spazio in squadra e perse un po’ di fiducia. Aveva dubbi se continuare al Club Brugge. Lui voleva solo divertirsi e giocare con i suoi amici, a un livello inferiore se necessario”, racconta Claeys.

La scelta di continuare e “in U17 è tornato a essere il vero Charles. In poco tempo è arrivato in prima squadra. Quel periodo gli è servito per crescere mentalmente”. Anni da tuttocampista: “Era partito come ala, poi venne messo a centrocampo. In U16 faceva il difensore centrale, gli è stato utile. Poi si è spostato in attacco”.

De Ketelaere con la maglia dell’Atalanta

Il sogno del Real Madrid

Intelligenza calcistica e personalità fin da piccolo: “Durante una partita all’intervallo chiese all’allenatore di poter parlare al suo posto e diede indicazioni a tutti i compagni. Una situazione che capitava spesso anche prima delle gare, aveva grandi intuizioni tattiche”. Poi il momento dell’addio: “Durante le giovanili non erano tanti i club interessati. Una volta arrivato in prima squadra, le cose cambiarono”.

L’attenzione di molte società di Premier e il trasferimento al Milan: “Le aspettative forse erano troppo alte e lui non era pronto. Charles ha bisogno di sentirsi a casa ed essere sicuro di sé. E l’Atalanta è il club ideale per questo. Siamo orgogliosi di lui”. In chi l’ha visto crescere c’è la consapevolezza che “questo non è il suo punto di arrivo, può crescere ancora tanto”. Con un sogno: “Diventare un giocatore del Real Madrid, l’ha sempre desiderato”.

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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Nicolò Franceschin

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