Interviste e Storie

L’ultima sfida di David Luiz: “Diventerò allenatore. Pafos? Conoscevo i proprietari”

David Luiz, difensore Pafos (credits: Emanuele Croci)

Dal documentario “Pafos, risvegliare la passione di un’isola”: la nostra intervista al difensore brasiliano

Ha vinto tutto, ma vuole continuare a giocare ad alti livelli. Oggi Pafos è l’oasi felice di David Luiz: “Fin dal primo momento ho sentito la passione di questa città per il calcio. Quando vai in un posto dove le persone ti apprezzano e ti rispettano diventa tutto più semplice”.

Per un trasferimento inaspettato c’è una scelta personale che ha portato il brasiliano a credere nel progetto cipriota: “Conosco i proprietari da molti, molti anni. Sanno che il mio prossimo passo sarà quello di diventare allenatore. Quando c’è stata la pandemia decisi di tornare in Brasile per stare vicino alla mia famiglia. Poi mi hanno chiamato e mi hanno detto: ‘Facciamo qualcosa insieme’. Mi hanno parlato di Pafos, del club e di come avrei potuto essere coinvolto, prima come giocatore. Ma anche per preparare il mio prossimo step”.

David Luiz, Pafos

David Luiz ha sempre definito la sua carriera come “un film dal finale inaspettato”. “Quando nasci in Brasile, nasci con la speranza di avere una vita migliore, di aiutare la tua famiglia, di fare un giorno qualcosa che ami. E in Brasile, quando nasci maschio o femmina, vuoi diventare un calciatore”. A 13 anni, infatti, lascia la famiglia per inseguire il suo più grande sogno. “Sono andato in un’altra città per provare a diventare calciatore.  A 17 anni sono diventato professionista e a 18 ero già in Europa”.

Da niente, a tutto. In pochissimo tempo. Un cambiamento radicale che gli ha permesso di regalare alla sua famiglia una vita diversa. “A 20 anni non avevo nulla. E dopo un mese avevo tutto. Ho potuto comprare la prima casa per la mia famiglia. Ho potuto dire a mia madre e mio padre di smettere di lavorare perché normalmente lavoravano dalle 7 del mattino alle 11 di sera tutti i giorni. E questo è stato un grande cambiamento”. Il primo contratto firmato è stato l’inizio del suo “primo tutto”. Compreso un vestito e una cravatta. “Lo ricordo benissimo: ero a Benfica. I miei compagni mi hanno preso le misure, ero così felice”.

“La fede è tutto”

Non solo calcio. Quando David Luiz sente la parola fede i suoi occhi si illuminano. “È tutto. Penso che senza fede non si possa vivere. La fede mi incoraggia, indirizza la mia vita e mi aiuta nelle decisioni che devo prendere. Immagina quando avevo 13 anni: è stata la fede a spingermi a crederci, e la stessa ha aiutato i miei genitori ad accettare la mia scelta. Ho lasciato la mia famiglia e sono stato due anni senza vederli. Ero solo un ragazzino. A quel tempo non c’era FaceTime, non c’era niente del genere. Parlavo con loro dal telefono pubblico una volta alla settimana e a volte una volta al mese”.

Poi, il cambiamento. Due figlie e una visione diversa della vita. “Posso immaginare cosa pensavano i miei genitori: come sta? Mangia? Dorme? Come sta? È sopravvissuto, è vivo, capisci? Cose del genere. Ora capisco meglio rispetto a quel periodo, perché penso che fosse più difficile per i miei genitori che per me: quando sei un ragazzino vuoi solo essere libero, no? Dio mi ha reso una persona migliore e mi migliora ogni giorno”.

David Luiz, Chelsea

“La lezione più importante della mia vita”

Esuberante dentro e fuori dal campo, l’estro di David Luiz non è mai passato inosservato. “Penso che nella vita ci siano sempre persone a cui piaci, persone a cui non piaci, persone che tifano per la tua squadra, persone che non tifano per la tua squadra. La vita è così. Ci sono aspetti positivi e aspetti negativi. Quindi quello che ho sempre cercato di fare è essere me stesso, ho sempre agito con il cuore in modo sincero, e a volte ci sono riuscito, a volte ho commesso degli errori, tutto qui. Penso che si debba andare avanti, migliorare, ma sempre sapendo cosa c’è davvero nel proprio cuore e cosa si sta realmente facendo”.

Per una carriera vissuta sotto i riflettori, c’è un insegnamento che oggi lo guida nel quotidiano. “Ero un ragazzo sempre aperto al dialogo. Se sei una persona pubblica e giochi a calcio la gente parlerà di te. Le persone ti giudicheranno in base alle tue azioni. Ma ho capito che nella vita bisogna giudicare le persone cercando di capire perché fanno determinate cose. Quindi, se qualcuno commette un errore, non è l’errore che giudicherò. Cercherò di capire perché lo sta facendo. E a volte, cercando di scoprire perché lo fa, si scopre qualcosa di incredibile. Molte persone hanno commesso un errore nei miei confronti, ma io sono andato oltre per parlare con loro e ho trovato grandi amicizie, grandi storie e ho capito perché erano così. E molte volte, quando le persone ti attaccano, non è per te, è per loro”.

Lorenzo Bloise

Classe 2001, nato nel comasco, oggi pendolare a Milano. Amante dello sport in tutte le sue sfaccettature: giocatore di provincia di basket, con il calcio mi sono limitato alla PlayStation. Cresciuto tra un doppio passo di Cristiano Ronaldo e un fadeaway di Dirk Nowitzki. Davanti alla televisione, allo stadio o al palazzetto con la stessa curiosità di un bambino. Highlights, repliche, interviste e dirette notturne: ogni scusa è buona per non perdermi nulla. La letteratura mi ha aiutato a riscoprire la bellezza e l'efficacia delle parole: le stesse che mi permettono di raccontare ciò che gli altri si limitano a guardare. Storie, anedotti e culture che si intrecciano tra di loro: per me lo sport è questo e tanto altro.

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