Roberto D’Aversa guarda l’orologio. “Dai su,
fischia!”, urla a Giacomelli col pensiero. Ma intanto allarga le braccia, il
sorriso pure. 94’ di
Juve-Parma, il tabellone dello Stadium dice 3-3 e non
cambierà più.
Chissà cosa gli sarà passato per la testa,
in quegli attimi concitati, all’allenatore gialloblù. L’euforia sul volto dei
suoi ragazzi, la frustrazione su quello di Ronaldo. Wait a sec,
Ronaldo? Quasi
da non credere, quanta strada ha fatto questo Parma.
Un film lungo più di due anni, denso di highlights,
colpi di scena, suspense. Protagonisti sempre diversi, da Lucarelli a Bruno
Alves, da Calaiò a Inglese. Ma la sapiente regia è sempre in mano allo stratega
di Stoccarda,
maestro del brivido dalla C alla A. Perché a D’Aversa le puntate semplici
proprio non riescono, sia benedetto l’all-in. Il suo Parma ci ha fatto scoprire
che si può
pareggiare in casa contro Bologna, Chievo e Frosinone, e al contempo
zittire il Franchi, San Siro, lo Stadium. Chissà quante schedine bruciate.
“Non bisogna mai smettere di crederci”, ha dichiarato raggiante nel post partita di sabato. Forse l’unico leitmotiv di un percorso da montagne
russe: guai a pensare che l’allenatore delle due promozioni consecutive sia
sempre stato l’eroe dello Stadium. Prima del
18 maggio scorso, nuovo A-day del
calendario parmense,
D’Aversa infatti aveva ricevuto quasi più critiche che elogi. Troppo discontinuo, si
diceva, per una squadra costruita per vincere: nella primavera di Lega Pro come
nell’inverno di Serie B (il pesante 4-0 di Empoli su tutti), sono arrivati preoccupanti blackout
che ne avevano fatto traballare la panchina.
Ma è spalle al muro che D’Aversa ha saputo dare
il meglio di sé. Infallibile, anche quando il destino gli stava scivolando
dalle mani. Si ringrazi la freddezza di
capitan Lucarelli, che ha deciso la
battaglia all’ultimo rigore contro il Pordenone, semifinale playoff 2017. E ‘l’altruismo’
di
Roberto Floriano, eroe indiretto dell’ultima promozione: quel 18 maggio
giocava per il Foggia allo Stirpe e con un morbido tocco sotto all’89’ ha
rovesciato i verdetti della Serie B. Sliding doors, attraverso cui il Parma si
è infilato pronto e D’Aversa ha messo a tacere tutti.
Come Deschamps, generale fortunato. E capace,
altrimenti sul tetto del mondo non ci si arriva. Il suo mondo invece, D’Aversa l’ha plasmato
sin dal vittorioso debutto sul campo del
Südtirol nel dicembre 2016. Il Parma,
all’epoca ottavo nel Girone B di Lega Pro, scopre il
4-3-3. Niente a che vedere
col piacere estetico di scuola guardiolana, tutto palleggio e passaggi corti.
Forse è anche per questo che D’Aversa ci ha messo un po’ prima di essere apprezzato: la sua squadra gioca semplice e fa giocare male,
attacca la profondità
e vola in contropiede
. Con i rischi che ne derivano. Non è un caso se nelle 64
partite degli ultimi due campionati il Parma ha pareggiato solo 14 volte, faticando
con le formazioni più abbottonate.
Proprio per rompere gli equilibri, l’ex
centrocampista ha sempre fatto leva su un crack.
Baraye in Lega Pro, Insigne Jr. e Ciciretti in B, oggi Gervinho. In estate, lui e Bruno Alves potevano
sembrare degli acquisti suggestivi, campioni sul viale del tramonto. Sei mesi dopo sono invece nel pieno di una
seconda giovinezza, esaltati dall’allenatore gialloblù: il portoghese nel mirino della
Juve (prima del rinnovo), l’ivoriano con la Juve nel mirino, on target due volte nel partitone di sabato
sera. Al loro fianco si abbracciano ancora
Gagliolo e Barillà, Scozzarella e
Iacoponi: D’Aversa non si dimentica dei suoi fedelissimi (gli ultimi due
cresciuti con lui dalla Lega Pro), baluardi dell’Odissea gialloblù.
Oggi il Parma non solo è tornato a casa, nel
calcio che conta e stoppando le grandi come ai tempi di
Crespo e Zola. Ma ha
anche saputo archiviare la nostalgia, impresa ancora più difficile: nel
novembre del 2016, preparando il terreno a D’Aversa, la nuova proprietà aveva
fatto tabula rasa di tutti i veterani degli anni ’80 e ’90 (Apolloni, Minotti,
Galasso) da cui era ripartito il nuovo Parma. “È la fine di un sogno”,
dichiarava il padre di quell’epopea e allora presidente dimissionario
Nevio Scala. Ne sarebbe
presto iniziato un altro. Anche se, per darne atto a D’Aversa, bisognava aspettare
la caduta degli dei bianconeri.
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