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Da Riquelme a Riise e Van Der Sar: storie di pathos e ritorni alle origini

“Il viaggio perfetto è circolare. La gioia della partenza, la gioia del ritorno”, recita una famosa frase di Dino Basili. Estrapolando leggermente la citazione dal proprio contesto, dopotutto, chi meglio di un tifoso di calcio può saperlo? Il figliol prodigo partito in cerca di fortuna che, indipendentemente dalla buona riuscita della propria missione, fa ritorno dove tutto cominciò. Chiamatelo come volete: ritorno di fiamma, ritorno alle origini, ritorno a casa… La sostanza non cambia. C’è chi poi da dove è nato e cresciuto non se n’è mai andato, ma chi non ha mai desiderato assaporare anche per un solo attimo il brivido del cambiamento? Non c’è niente di più emozionante del vedere di nuovo giocare nel proprio stadio quel giocatore che ti ha fatto godere, esultare e piangere di gioia, ma che probabilmente pensavi di non rivedere mai più con indosso la maglia dai colori che tanto ami. Emozionante, toccante. Certo, come diavolo facevi a sapere che in una tasca aveva il biglietto d’andata, ma che nell’altra teneva ben custodito anche quello per un ipotetico ritorno?

“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”: Venditti prima, Galliani (in modo leggermente meno intonato) poi. L’aria di casa sì, fa la differenza. Romantico il tema del ritorno. E guarda caso, quando si tratta di romanticismo, la mente ti porta istantaneamente al Sudamerica, la terra del fùtbol romantico per eccellenza. Alzi la mano chi non ha avuto almeno un sussulto al cuore in occasione della ‘vuelta’ di re Romàn (Riquelme) al Boca nel 2007. Probabilmente fu ancora più toccante di quella di un certo Maradona nel ’95, sempre al Boca. E perché no, Carlitos Tèvez lo scorso anno. Che poi, negli ultimi tempi, sembra quasi diventata una moda. Veròn all’Estudiantes, Forlàn al Penarol, Saviola al River, Milito al Racing Avellaneda, sempre in Sudamerica, per citare i più famosi: quelli che hanno fatto piangere di gioia i rispettivi tifosi, per intenderci.

Ma anche l’Europa storicamente non si è dimostrata impassibile di fronte a certi sentimenti: più difficili per la maggior competitività dei campionati, ma non impossibili. Vogliamo ricordare, per esempio, il secondo avvento di ‘The God’ Robbie Fowler ad Anfield? Se il tuo soprannome tradotto significa ‘Dio’, vuol dire che per i tuoi tifosi rappresenti l’esatto contrario di ciò che la parola “indifferente” sta a simboleggiare. O di Kuyt che, dopo aver vinto tutto in giro per l’ Europa, sta tenendo a galla il “suo” Feyenoord a suon di gol. E Joaquìn l’estate passata invece? Mano fratturata per un pugno scagliato a causa di un “via libera” verso un ritorno a Siviglia, sponda Betìs, che tardava ad arrivare. Così, dal passato prossimo giungiamo alla storia contemporanea, con due vecchie conoscenze della Serie A come Van Der Sar e Riise che, in questi giorni, sono tornati a vestire la maglia dei rispettivi primi club: il VV Noordwijk e l’Aslesund. Se il richiamo della propria città, dei propri tifosi e di chi ti vuole bene non ti regalasse quel pathos e quella passione irreperibile in qualsiasi altro luogo del mondo, che senso avrebbe partire per poi tornare? Forse sì, il viaggio perfetto è davvero circolare.

Alberto Trovamala

Redazione

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