Dal punto più basso è rinata la carriera di Antonio Caracciolo. Da essere fuori rosa 4 anni fa al Brescia, al gol nel derby di Verona, con la fascia di capitano sul braccio. Di strada ne ha dovuta fare tanta. Di fatica e sacrifici ancor di più. Era il 2014 e il difensore in comproprietà tra il Genoa e i lombardi non convinceva nessuna delle due squadre. Nelle buste nessuna offerta, da lì è cominciata la scalata alla Serie A. Un inizio difficile con il Brescia. Arrivato come “l’altro Caracciolo”, quello che i gol cercava di evitarli e non li segnava. Tra i due invece ora c’è un legame forte, forgiato anche da Cesano Boscone, il comune fuori Milano che ha visto crescere entrambi: “Ci sentiamo spesso con l’Airone, almeno due volte la settimana soprattutto dopo le partite”.
Le loro carriere però li hanno visti distanti. Per Antonio il debutto in Serie A è arrivato in ritardo, solo in questa stagione all’età di 27 anni. Il primo gol contro il Milan a San Siro come a chiudere un cerchio, un conto che era rimasto aperto con quello stadio. Nato ad Aggius in Sardegna, a due anni si è però trasferito alle porte di Milano, movendo i primi passi nel calcio nelle giovanili dell’Inter fin dall’età di 8 anni. A San Siro ha visto le sue prime partite e da piccolo giocatore nerazzurro ha avuto anche l’opportunità di sventolare il telone della Champions League nel mezzo del centrocampo. Gli idoli però sono rossoneri: Maldini, Nesta e Thiago Silva, nome poi dato al suo inseparabile cane. Calcio ma non solo. Tatuaggi, tanti, ma quelli più importanti li ha impressi sul petto, Franco e Donatella i nomi dei suoi genitori accompagnati da due rondini. La musica, quella rock a forgiare un carattere da duro le note degli AC/DC, che fin da piccolo la mamma, vera fan, gli faceva ascoltare. Ma anche scaramanzia, con la stessa canzone da ascoltare a ripetizione se nella partita precedente ha portato fortuna. E poi la Nba e le serie tv. A 27 anni una maturità ormai raggiunta: “Rispetto a prima uscivo e mi divertivo. Ora penso più a curarmi fisicamente e mentalmente”. Ha messo la testa apposto Antonio, che ha festeggiato il gol nel derby dedicandolo al figlio, che la compagna Maria Elena porta in grembo, ma anche a chi non c’è più: a Davide Astori e allo zio scomparso quattro anni fa.
Ha scelto un occasione importante quella del derby contro il Chievo, la squadra che in estate lo voleva: “È vero sono stato molto vicino al Chievo, ma il mercato è strano. Il Verona ha avuto il guizzo giusto ed ora sono qui”. In gol da capitano e con la maglia numero 12, che fa strano vedere sulle spalle di un difensore. La numero 3 era occupata e allora meglio unire l’1 e il 2, come fece Zamorano. Il suo compito è fare il difensore, con licenza di segnare. Nelle quattro vittorie in stagione dell’Hellas in tre occasioni la porta è rimasta inviolata, questa la ricetta per inseguire la salvezza. Segnare non è il suo compito, ma lo fa con naturalezza, come contro il Chievo. Una girata al volo, un gol alla Caracciolo. Nello stesso modo in cui Andrea in allenamento segnava a lui quando erano al Brescia. Lì dove è rinata la carriera di Antonio, quando nessuno sembrava volerlo.
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