Corre. Corre veloce e non si ferma. Come quand’era ragazzino, insieme a Pippo, quando i due avrebbero giocato anche scalzi o coi dolori. Corre, Inzaghi. E va veloce. Come la “sua” Lazio, come Immobile che si invola tutto solo davanti ad Alisson. Come i pensieri, proprio loro. Quelli di chi doveva andare a Salerno e ora si giocherà una finale di Tim Cup. Corre. Come i mesi dell’anno che separano il ritiro di Auronzo al derby di Roma. Quando i tifosi, scontenti dal “no” di Bielsa, chiamavano gli alberghi per disdire le prenotazioni: “Ma sì – dicevano – tanto finirà come gli altri anni…”. E invece. Corre come Milinkovic-Savic, uno che con Pioli giocava e non giocava, ma che ora è diventato indispensabile. “Milinkocrazia”. Roba che contro la Roma ne fa due tra andata e ritorno diventando un idolo. Corre, Inzaghi, lungo la linea laterale, accompagnando in rete il destro di Immobile, quello della sicurezza che significa “finale”. Un giocatore voluto da lui, e che ora si gode le sue 21 reti con la Lazio. Bomber.
Corre, inoltre, verso la compagna Gaia, che a fine partita gli ha preparato una torta per festeggiare i suoi 41 anni. E guai a non arrivare in tempo: “Il compleanno più bello della mia vita”. Mica per altro, quanto per una Lazio plasmata a modo suo e grazie a tre parole: “Testa, cuore, umiltà”. Anche coraggio. Quello di rischiare i famosi “suoi ragazzi” che si è portato dietro dagli Allievi. Coraggio, sì: quello di mettere Lombardi titolare contro l’Atalanta, uno che ad Auronzo neanche doveva andare; di far giocare Murgia, di lanciare Strakosha a San Siro contro il Milan. Di richiamare Crecco dal prestito all’Avellino. Infine, di gestire la “grana” Keita nel migliore dei modi, col dialogo e i discorsi. Con la panchina. E la nomea di “spaccapartite”. Perché per lui, i giocatori, sono “come dei figli”. Il gruppo è tutto.
Corre, Inzaghi. E magari, nel mentre, guarda indietro a quel 3 aprile di un anno fa, quando subentrava a Stefano Pioli dopo aver visto la Lazio perdere un derby 4-1. Tutta un’altra musica adesso. “Realizzo un sogno”. Iniziato a Caramanico, in Abruzzo, con gli Allievi Regionali e uno staff rimasto intatto, dal “Prof” Fabio Ripert a Ferruccio Cerasaro, fido match analyst. Uomini vincenti per una sfilza di titoli, dal primo trofeo ad Amatrice alla Supercoppa Primavera, passando per il titolo di Allievi Nazionali e due Coppe Italia. #Greenline. Corre, Inzaghi, più forte delle critiche di inizio anno, ripensando alla promessa di Lotito dopo aver vinto il titolo regionale: “Simo, ti porto in Serie A”. Profetico, intuitivo, emblema di una rivincita che parte da lontano, da quei troppi infortuni pagati negli anni quand’era calciatore. Oggi Inzaghi non ci pensa più, corre e basta. Ha la sua Lazio, i suoi ragazzi e la sua finale. Un elogio di chi ci ha creduto. Dritto per la sua strada e coi suoi dogmi: “Testa, cuore, umiltà”. Chapeau.
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