“Ho parato a Maradona”. Già non è facile pensarlo. Figuriamoci se si tratta di un rigore. Il primo in Italia. Renato Copparoni sorride: “Aspetta, abbasso il volume della tv”. C’è la Coppa Italia: Torino-Virtus Entella. Il Toro non ha mai smesso di seguirlo, dopo aver difeso la porta granata per 9 anni, tra il 1978 e il 1987. “Ho vissuto un’impresa sportiva. Ma, diciamocelo: non era stata nemmeno una grande parata”.
Sorride di nuovo, risponde volentieri: il suo carattere sardo, sincero, schietto, emerge tutto. Racconta quell’episodio come se fosse ieri. Minuto dopo minuto. Ora capita che i portieri provochino l’attaccante; ai tempi non era pensabile. “Non serviva a nulla”, racconta a Gianlucadimarzio.com. Figuriamoci con Diego. Premessa che tiene a fare: “I portieri ai miei tempi potevano documentarsi molto di meno. Dovevi avere la fortuna di giocare in casa per poi, la sera, vederti la Domenica Sportiva, se c’erano i diritti. Due settimane prima di quel 2 marzo 1986, avevo avuto la fortuna di veder Maradona calciare un rigore contro l’Inter. Zenga si era mosso prima del tiro, Diego l’aveva capito e allora all’ultimo ha cambiato direzione del tiro, segnando”. Ci si informava così: niente filmati personalizzati, niente statistiche. Televisione accesa la sera, dopo cena, a vedere quelle immagini molto più preziose di quel che si può ora pensare.
“E così ho deciso non muovermi, sperando che quel suo piede così piccolo non mi fregasse. Ce l’ho fatta, mi sono buttato a destra e gliel’ho tolta”. Esultanza? Quasi nessuna: “Stavamo perdendo 3-1, non c’era molto da dire, ma Radice mi disse una cosa”. Cioè? “«Caro Coppa, questo è un sigillo. Entri nella storia». E a distanza di 34 anni ne parliamo ancora. Un rigore parato è come un gol segnato: anche se abbiamo perso, per me quella resta una grande impresa. Forse, la più grande di tutte”.
Radice è quel Radice, che con Gianni Di Marzio era volato in Argentina alla caccia di talenti e che si ritrovò davanti agli occhi quel diamante chiamato Diego. Non serve raccontare molto di più. Se non che Copparoni, nonostante tutte le difficoltà, para rigori lo è stato davvero: ha fermato Vialli, Pruzzo e anche Rigamonti, il portiere del Brescia che calciava meglio di un attaccante. Fu proprio Coppa a fermarlo, per la prima volta. Ma quella contro Maradona non si dimentica più. “Anche io posso sbagliare”, aveva detto con lo sguardo basso a fine partita il numero 10. Non c’era arroganza, ma consapevolezza. “Non ho mai visto un attaccante prendere così tante botte e rialzarsi senza mai dire nulla. Se c’era da battere la punizione, la batteva e basta. E spesso segnava pure”, continua Copparoni. Diego, quel giorno, fu meno divino del solito. Fermato da un portiere e la sua televisione. È entrato anche lui nella storia. Anticipando i tempi. E Maradona.
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