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Conte: “Al Tottenham un periodo personale complicato. Ho ripensato ad alcune priorità”

Antonio Conte, allenatore del Napoli (Imago)

I sacrifici, le priorità e l’esperienza in Inghilterra con il Tottenham: le parole di Antonio Conte a Buffa Talks, programma di Sky Sport

Squadra che trovi, trofeo che vinci. In tutte, tranne che con il Tottenham. Antonio Conte ricorda così l’esperienza in Inghilterra: “Quello è stato sicuramente un anno difficile: arrivo al Tottenham a novembre, con la squadra nona in classifica, e il primo anno finiamo in Champions, superando l’Arsenal. Per il Tottenham, arrivare in Champions è praticamente come vincere la Premier League”.

Intervistato a Buffa Talks, l’allenatore ha raccontato un aneddoto di quel periodo: “Mi ricordo ancora che alla fine dell’ultima partita contro il Norwich, che vinciamo, si festeggia quel traguardo nello spogliatoio. Io chiamo il mio staff e dico: ‘Non ci abituiamo a questo tipo di festeggiamento’, nel senso che noi non dobbiamo festeggiare l’entrata in Champions League. ‘Noi siamo comunque abituati a festeggiare altre cose'”.

Rimettersi in gioco in Premier League dopo il biennio vincente con il Chelsea. Con gli Spurs, però, le cose non andarono per il verso giusto. Sia in campo, che fuori: “Avevo firmato per un anno e mezzo perché volevo vedere che tipo di situazione avrei trovato, ma in quell’anno è poi capitato un po’ di tutto. È morto Giampiero Ventrone per una leucemia che lo ha portato via in 15 giorni. È stata veramente una mazzata tremenda, a livello affettivo e psicologico, perché c’era un grande legame”.

Un periodo che è coinciso anche con la scomparsa di un grande amico come Gianluca Vialli: “In quello stesso periodo è morto anche Gianluca Vialli: ci eravamo visti il mese prima in un ristorante, insieme anche a mia moglie e l’avevo visto molto sereno… Stava anche bene. Però, ecco, in quella cena avevo capito che comunque c’era qualcosa che non andava. E c’è stata anche la vicenda della scomparsa di Sinisa in quel periodo”.

Conte e la famiglia

Un anno e mezzo in Inghilterra lontano dalla famiglia e dalle abitudini quotidiani. “Le cose che sono accadute mi hanno portato comunque a ripensare ad alcune priorità. Io avevo la famiglia in Italia, mia moglie ha sempre fatto tanti sforzi per venire e stare quanto più vicino possibile. Però ho iniziato a chiedermi quanto ne valesse la pena: sacrificare gli amici, la famiglia, quando poi da un giorno all’altro ti ritrovi ad affrontare tragedie del genere o comunque a non esserci più. Questo non mi ha mandato in crisi, però mi ha fatto comunque cambiare un po’ in quel momento alcune priorità”.

Poi, quella breve assenza in panchina per un’operazione: “Mi sono dovuto operare urgentemente alla cistifellea, perché rischiavo di andare in pancreatite. Diciamo che sono successe un po’ di cose… Sicuramente quell’anno, quel periodo, mi ha portato a fare grandi riflessioni sulle priorità da dare. La passione che ho per il calcio mi porta comunque a superare un po’ tutte le difficoltà. Ma dobbiamo sapere cosa siamo disposti a sacrificare, no?”.

Antonio Conte, allenatore del Napoli (Imago)

“Cosa sei disposto a perdere?”

Scelte, sacrifici e un pensiero fisso nella mente. “Vale sia per un allenatore, ma anche per un calciatore. Perché comunque io ho fatto il mio primo ritiro a 15 anni con il Lecce. Fai una scelta, perché alla fine sacrifichi le vacanze, l’estate ti dura pochissimo… Poi io sono uno che comunque ha fatto tutte le scuole, altrimenti non avrei giocato. Quindi, alla fine della scuola, iniziava poi il ritiro in montagna. Sacrificavi l’estate, l’adolescenza, il rapporto con gli amici… Poi quando cresci come calciatore, ci sono altre rinunce che devi fare. E così anche da allenatore”.

In un mondo parallelo, Conte avrebbe smesso di fare l’allenatore? “Mi ricordo benissimo questo: quando ho smesso di giocare a calcio, ho fatto un’intervista a un giornale sportivo e sono sembrato presuntuoso. Perché ho detto: “Se in tre anni non arrivo ad allenare la Juventus, o comunque non arrivo ad allenare a livelli alti, smetto di fare l’allenatore. Perché ho già fatto troppi sacrifici da calciatore”. Col senno di poi, sì, forse ho esagerato un po’, perché era un’affermazione molto forte. Però fa capire anche la ferocia nel raggiungere un obiettivo. Mi ero detto: o arrivo a certi livelli o altrimenti il sacrificio non vale la pena. Io penso che anche la voglia, l’ambizione, la ferocia con cui tu ti appresti a conquistare determinati traguardi faccia la differenza a certi livelli. Perché in tutte le cose poi ci sono i livelli”.

Redazione

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