Conte e il passato alla Juventus: “Serviva una rivoluzione culturale”

Il racconto di Antonio Conte sul ciclo vincente alla Juventus: le sue parole durante Buffa Talks, programma di Sky Sport.
Nel 2011 Antonio Conte riceve la chiamata che cambia tutto: “Mi chiama Silvio Baldini e mi dice che Andrea Agnelli vuole vedermi. Era la Juventus, ed era nel momento più buio della sua storia recente. Non potevo dire di no“. Così, tra dubbi, motivazioni e una voglia feroce di riscatto, inizia uno dei cicli più iconici del calcio italiano moderno.
Conte eredita una squadra lontana dai vertici, reduce da stagioni anonime e da un settimo posto. Ma a Torino trova anche fame, aspettative e un club disposto a rimettersi in discussione. “Ho chiesto giocatori funzionali e identitari. Pirlo? Molti pensavano fosse finito. Per me era perfetto.”
Con lui nasce una Juventus feroce, affamata, ossessiva. In tre anni arrivano tre scudetti, una stagione da imbattuti e il record storico dei 102 punti. Ma soprattutto, cambia il modo di interpretare il calcio in Italia: “Abbiamo alzato il livello, riportato l’orgoglio. Non era solo vincere, era cambiare la mentalità.”
Nel cuore di quell’esperienza, ci sono momenti chiave: la scelta di passare al 3-5-2, l’idea di gioco verticale e aggressiva, la costruzione di un gruppo solido e competitivo. “Mi servivano uomini. Quelli veri. E li ho avuti”.
Una squadra nuova: “La Juve ti logora, ma ti plasma”
Al suo arrivo c’era molto su cui lavorare: “Quando arrivo alla Juve c’è tanto da fare. E la società mi dà fiducia. Mi dice: ‘Fai tu’. E io faccio. Con metodi duri, ma chiari. Alleno ogni dettaglio. Creo pressione. Porto abitudini nuove”.
Il mercato è stato determinante: “Avevamo bisogno di gente che corresse, che credesse. Non cercavo figurine. Cercavo fame. Pirlo era considerato finito. Per me era un genio. Barzagli? Un altro affare. Chiellini, Bonucci, Vidal… Tutti sono cresciuti perché li ho sfidati ogni giorno”.
Da cosa deriva il tutto? Conte è sicuro: “Siamo partiti da una squadra slegata. Dopo pochi mesi siamo diventati un blocco. Non c’era spazio per mollare. Allenamenti durissimi, attenzione maniacale. Ma la gente ha cominciato a riconoscere in quella squadra l’anima Juve”.
Il sentimento dell’allenatore è forte: “La Juve è una maratona. Ti logora e ti plasma. Per me era tutto: passione, lavoro, missione. Ho dato tutto. Ma quando ho sentito che non potevo più dare, ho fatto un passo indietro.Ho lasciato dopo tre scudetti. Qualcuno non ha capito. Ma io sì: o crescevamo ancora, o ci saremmo fermati. E io non volevo fermarmi. Mai”.
Il cambio modulo e l’impronta tecnica di Conte
L’attuale allenatore del Napoli ha saputo adattarsi: “Un giorno faccio un’amichevole, provo il 4-2-4 e non mi convince. Allora provo il 3-5-2. E scatta qualcosa. Pirlo davanti alla difesa, due mezzali aggressive, gli esterni che spingono… Era il vestito giusto. Da lì in poi, siamo diventati imprevedibili. Verticali, rapidi, con intensità. Non sempre belli, ma sempre letali. Era un calcio italiano evoluto. L’Europa lo ha capito dopo, ma noi ci eravamo già arrivati”.
Per l’anno era un modulo rivoluzionario: “Non è stato facile imporre un modulo così atipico. Ma i risultati parlavano. Quando vedi che funziona, lo segui. E loro mi hanno seguito fino in fondo.”
Il caso Del Piero: “Scelte dure. Lui un professionista esemplare”
L’addio di Del Piero è arrivato proprio nella stagione di Conte: “Con Alex c’era rispetto. Ma io dovevo guardare avanti. Lui era un’icona, ma non poteva più garantirmi quello che serviva. Avevo bisogno di transizione.”
L’allenatore non si pente delle sue scelte: “Non l’ho mai umiliato. Ma ho fatto scelte dure. L’ho usato nei momenti giusti, anche decisivi. Era un professionista esemplare. Però dovevamo ricostruire, e lui non era più al centro.”