“Non dimenticherò mai quella piazza: sembrava che avessimo vinto il Mondiale”. La voce è ancora piena di emozione, la stanchezza di un’annata devastante lascia spazio all’entusiasmo: Massimo Pavanel si è riscoperto eroe a 50 anni dopo le esperienze tra Pordenone, Trieste e la Primavera del Verona che lo ha messo in mostra. Ma da settimane ai piedi dell’allenatore c’è la città di Arezzo perché Pavanel ha scritto la storia con una salvezza che sembrava impossibile. “Ci hanno presi in giro, credetemi: ci promettevano i pagamenti, ci invitavano a tenere duro. Da novembre Ferretti ha detto che non avrebbe più pagato, a dicembre eravamo certi del cambio di società e anche con Matteoli a febbraio ci aspettavamo gli stipendi. E invece, niente di tutto questo. Non vedevamo un euro”, racconta Pavanel a GianlucaDiMarzio.com.
Proprio così nasce la favola dell’Arezzo, l’ombra del fallimento e una situazione più che critica con cui convivere giorno per giorno. “Succedevano cose surreali – aggiunge Pavanel -, pensate che i ragazzi hanno dovuto pagarsi le visite mediche. Non avevamo niente: dalle bende ai cerotti, ci mancava qualsiasi cosa. Ci hanno salvato i tifosi, le persone prima ancora dei tifosi”. In che modo? Pavanel si emoziona ancora a ripensarci: “Ci hanno dato una mano in qualsiasi modo. Chi al proprio ristorante per mangiare prima della partita, chi ci portava il detersivo per lavare le magliette…”, il cuore di Arezzo per salvare la squadra.
“Avevo un gruppo di ragazzi straordinari, con la voglia di non mollare mai”, la gratitudine verso il gruppo è il primo comandamento di Pavanel. Ma come si fa a mantenere alta la concentrazione quando alle spalle della squadra accade di tutto? “Non avevo segreti, l’unica certezza era trasmettere fiducia. Sempre. Non dovevamo accettare l’ingiustizia, il fatto che fossero altri a decidere il nostro futuro. Avevamo una sola strada: andare in campo e dare il mille per cento. Qualcuno ha studiato il fallimento dell’Arezzo, noi dovevamo combattere tutto questo dando l’anima in campo”.
Non sono mancati i momenti di sconforto, anzi. Perché anche solo presentarsi all’allenamento dopo le promesse disattese della società è stata dura, Pavanel ricorda ogni attimo: “A un certo punto mi guardavo allo specchio e pensavo: cosa dico alla squadra oggi? Il giorno prima gli promettevo che sarebbe svoltata la situazione, poi non arrivano i pagamenti e i giocatori venivano a dirmi: ‘Mister, ma non doveva cambiare tutto?’. E allora pensavo anche che avessero ragione loro, per qualche mezza giornata mi è capitato di tentennare”.
Ma Pavanel non è mai rimasto solo. C’è la famiglia tra gli altri segreti di questo allenatore che farà parlare di sé: “Le persone che mi stanno vicine sono sempre state pronte ad aiutarmi. Mi davano forza, ogni giorno. Una volta mia figlia mi ha detto: ‘Papà, non mollare che stai facendo qualcosa di grande’. Tornavo sul campo più carico di prima e dicevo ai ragazzi, io ci sono e non accetto l’ingiustizia. Vedete cosa preferite fare, se ci alleniamo lo facciamo in modo da vincere le partite. Altrimenti diciamolo subito e andiamo a bere qualcosa al bar”. E la risposta della squadra è stata sempre la stessa, cuore pulsante di questo Arezzo: “Alla fine, volevano allenarsi tutti – racconta sorridendo -. Questi sono uomini fantastici, grazie a loro siamo riusciti in questa impresa”.
L’altro fattore determinante sono stati i tifosi, con cui Pavanel ha stretto un legame fortissimo: “L’ho detto molte volte, loro non dovevano più tirare fuori un euro. I personaggi in società facevano pagare le trasferte ai tifosi, marciavano su di loro. A Olbia sono arrivati in tanti anche pagando, poi la Lega ha annullato la partita e nessuno ha ricevuto rimborsi. Cose incredibili…”. Da lì è nata la corsa salvezza dopo l’incubo: “In quel momento ci hanno tenuti fermi un mese, pensavo che giocare 8 partite in 24 giorni sarebbe stata durissima. E invece la vittoria di Piacenza ci ha caricati e ce l’abbiamo fatta”.
L’emozione è ancora forte, le fotografie di una stagione memorabile sono stampate in mente: “La vittoria sotto il diluvio a Pisa, ma soprattutto il momento in cui a Carrara ho visto i nostri tifosi in una curva stracolma piangere a dirotto, a fine partita. Eravamo senza parole, poi ho detto ai ragazzi: abbiamo fatto qualcosa di grande”.
Pavanel è l’artefice di questo capolavoro. Ha salutato Arezzo dopo un’annata indimenticabile, la Triestina lo vuole a tutti i costi e conta di chiudere in fretta ma le richieste non gli mancano. Massimo proporrà il suo marchio di fabbrica, un allenatore tutto cuore e energia oltre alla cura dei dettagli anche nella tattica: “Mi piace creare empatia con l’ambiente dove sono, stravedo per gli allenatori che trasmettono energia: Jurgen Klopp e Antonio Conte sono due modelli per me, ma guardando in Italia c’è anche Silvio Baldini, uno che non rinuncia mai ad essere se stesso e non si conforma a questo mondo”.
Sognando Anfield, Pavanel studia da Klopp e non dimenticherà mai quest’annata: “Ci sono venuti a prendere in piazza, come eroi. Come se avessimo vinto la Coppa del Mondo”. Il destino è lontano dalla Toscana ma la città gli resterà sempre nel cuore. Perché anche ad Arezzo si può scrivere la storia e essere amati, proprio come sotto la Kop.
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