Prendi un consulente finanziario, trasformalo
in bomber e guardalo segnare in ogni categoria in cui ha giocato. Piccole
realtà, grande cuore. Dalla Serie D alla Terza Categoria, sempre in gol. Cuore
viola, una vita per il calcio, quel calcio, e il numero 9 (o il 18) sulla
maglia grigionera. E pensare che Simone Ferravante doveva tornare in campo solo
alla seconda metà di novembre. “Quando uno c’ha la testa bacata per il calcio…”.
Già, perché l’appuntamento per il controllo col chirurgo è ancora fissato per metà novembre ma “speriamo
non abbia letto i giornali, hanno dovuto nasconderli!”. In 7 mesi ha recuperato
dall’infortunio al crociato, è tornato in campo ed ha segnato il suo primo gol
in questo campionato di Promozione. Non sarà valso la vittoria contro il
Forcoli Valdera ma l’essere ritornato e l’aver segnato ancora sono già da soli
un successo.
Centonovanta centimetri per 94 chili, un
colosso. Anche da bambino quando al campo arrivava con il suo metro e 75 e “le
altre mamme dicevano ‘ma che t’hanno annaffiato?’ oppure ‘ma mangi la bistecca a
colazione?’”. Inconfondibile accento toscano e una risata ad accompagnare i
ricordi di ‘Bobo’, come lo chiamavano i primi tempi. A 16 l’Eccellenza a
Scandicci e una storica promozione in D, poi un provino con la Sampdoria, 2/3
giorni con la squadra di Pea a Bogliasco, poi il ritorno in Toscana. Da lì il
passaggio al Grassina prima dello stop lungo 2 anni. Nessun infortunio, bensì l’università.
Dal pallone a Economia Aziendale. Ma il calcio ha chiamato ancora e Simone ha
risposto presente: nel 2011 è ripartito dalla terza categoria in una squadra
composta dai suoi amici storici. Proprio così, accolti tutti insieme. Il presente
poi inizia nel 2016 al Centro Storico Lebowski, come una svolta, “un appiglio”
dopo il dolore della scomparsa del padre. E l’unica domanda che Ferravante si è
fatto in quel momento è stata: “Perché no?”.
“E da lì si partì insieme”. Ciak, si gira. Questo
l’incipit della sua storia col Lebowski, con cui adesso è riuscito a segnare
anche in Promozione. Da avversario a parte di questa squadra, come un ritorno
al futuro quando Simone giocava nel Bagno a Ripoli – era il 2011 – e proprio al
Lebowski segnò un gol incredibile da 30 metri all’attuale preparatore dei
portieri della squadra, allora numero uno battuto in quell’occasione. “Su
YouTube c’è ancora il video – ha raccontato Ferravante ai microfoni di gianlucadimarzio.com -, già allora alcuni ragazzi si arrampicavano sulle
costruzioni vicino allo stadio per filmare la gara. Quando sono arrivato al Lebowski
ancora ne parlavano”. E oggi ripensandoci Ferravante ci scherza su così: “Gli
dico ‘sì, sarai anche il preparatore dei portieri ma quella castagna mica l’hai
presa!’”
Il piccolo, grande Lebowski. Realtà unica in
Italia che accoglie in rosa chi gioca solo per pura passione, dal consulente
finanziario Ferravante ad un ingegnere, da chi è impegnato con l’università a
chi è operaio, uno statistico oppure un aspirante medico. Questo il gruppo del Lebowski.
Un calcio autofinanziato, un club senza un presidente: “La proprietà della
squadra è di tutti”. O meglio, un presidente c’è, come figura legalmente
riconosciuta tale ma non c’è da aspettarsi un facoltoso signore che si aggira
per il centro sportivo in giacca e cravatta: “E’ quello che ci porta le maglie
e prende la roba sporca”. Un’idea di cinque ragazzi diventata col tempo una
famiglia. Passione, tanta. Un nome che arriva direttamente dal cinema e dal
capolavoro di Joel Coen; due colori sociali – il grigio e il nero – scelti per
le maglie perché erano le tinte che costavano meno.
Nel 2004 era l’AC Lebowski,
nato e cresciuto nel quartiere di San Frediano, nel 2010 poi è stato fondato il
Centro Storico Lebowski che ora ha trovato anche una casa in Tavarnuzze
(provincia di Firenze), dopo anni di ‘nomadismo’. Un calcio vissuto in maniera
viscerale, un club che oggi ha una prima squadra, una di amatori, un settore giovanile e una
squadra femminile. Quattro anime della realtà Lebowski che si legano a doppio filo
con il territorio che diventa casa, con la popolazione che diventa tifoseria. “Per
farti capire, c’è un ragazzo che gioca nel settore giovanile: i suoi amici un
giorno vanno a vedere lui e poi la domenica vengono a tifare il babbo in
prima squadra”.
“Un ambiente che non ho mai trovato nel calcio”,
Ferravante non ha dubbi. Società cooperativa dilettantistica per azioni.
Tradotto: la prima cooperativa nel mondo del pallone. “Chiunque può farne
parte, il calcio è proprietà della comunità in cui risiede”. Confronto,
dialogo, integrazione e sviluppo. E una mappa di soci che vede interazione e
partecipazione di persone anche dalla Macedonia, dall’India, dall’Australia.
“Pensare che nel 2004 erano una decina di
ragazzi, dei sognatori, che avevano sbagliato un’uscita non trovando il campo
dove andare a seguire la squadra ed ora siamo così tanti… fa capire cosa sia
diventato il Lebowski”. Calcio e vita. Un’entità che vive grazie alla passione
di tanti dove il campo e il territorio si fondono. Il risultato? La simbiosi
tra tutte le componenti, che sia durante una partita con la curva ‘Moana Pozzi’
o alla sagra del fritto di mare; e i giocatori sono i primi tifosi. “Quando
abbiamo festeggiato la promozione, siamo noi che abbiamo invaso la tribuna!”. Ferravante
se lo ricorda come fosse ieri, lì insieme agli URL (Ultimi Rimasti Lebowski). Altro tassello di un mosaico atipico.
Soddisfatto ma non appagato. E quando non sarà più in campo? “Sarò da qualche altra parte a supportare questo progetto. Noi siamo di passaggio ma il Lebowski crescerà ancora e continuerà a scrivere altre pagine di questa bella storia”.
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