L’intervista a Gaetano Castrovilli, tornato a Bari per rincominciare dove tutto era iniziato. Le sue parole a gianlucadimarzio.com.
Gaetano Castrovilli ha scelto Bari, dove tutto era iniziato, per ricominciare. «Rinascere insieme» è il leit-motiv di questo ragazzo di 28 anni cresciuto a Minervino Murge e che all’età di nove anni stregò i dirigenti biancorossi: all’epoca era però ancora troppo piccolo per vivere nel convitto dedicato ai ragazzi ed ogni giorno percorreva 100 chilometri in auto, accompagnato da suo zio Nimbo, per allenarsi. Quel piccolo talento oggi è diventato uomo, marito, padre e nel mezzo ha vinto il titolo di campione d’Europa nel 2021 con la Nazionale di Roberto Mancini.
Dopo tre annate complicate tra Fiorentina, Lazio e Monza (54 partite giocate, cinque reti e quattro assist) e un’alba di estate da svincolato di lusso, ha scelto le ragioni del cuore. E ha accettato la proposta del Bari del ds Giuseppe Magalini e del suo vice Valerio Di Cesare, compagno di squadra di un giovanissimo “Castro” nove anni fa, per la sua nuova sfida. “Ho scelto di tornare anche perché conosco bene questa piazza e la sua gente – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – so come si vive il calcio qui e mentalmente possono darmi tanto. Poi starà anche a me ricambiare tutto quest’affetto che ho ricevuto in questi giorni”.
Già, perché in città è già Castro-mania. Gli sono bastati 20 minuti da subentrante in Bari-Monza per rimettere piede al San Nicola a 3167 giorni dall’ultima volta e sentirsi a casa. Amato e coccolato dalla sua gente. Le stesse attenzioni che Gaetano presta ogni giorno a suo figlio Brando, nato a febbraio del 2024: “Mi sono sempre piaciuti tanto i bambini poi quando è venuto al mondo Brando ho capito cosa significa diventare genitore. La sua nascita mi ha cambiato in ogni aspetto della vita, soprattutto quella privata. Mi ha insegnato che vivi per lui, le priorità cambiano e la cosa che più mi ha impressionato è che prima dicevo di voler giocare bene per me, per la società e i tifosi. Ora voglio che mio figlio mi guardi giocare e mi riconosca in campo».
Si emoziona, pesa le parole, pondera le riflessioni. Come quel passo da ballerino sul terreno di gioco, anche nella vita Castrovilli resta sempre in equilibrio. Quella parola così importante anche fuori dal campo, quando i riflettori si abbassano e rischi che intorno ci sia tanto buio. “Ciò che conta è come reagisci. O ti fai “male”, oppure inizi a combattere con i tuoi fantasmi”.
“Io ne ho avuti tanti, non lo nego: sono stati due anni e mezzo davvero pesanti – racconta– tornavo in campo, mi fermavo di nuovo, il ginocchio mi si gonfiava e passavo tanto tempo a chiedermi perché. Non sono ancora al 100% mentalmente però ci sono quasi. Poi da Monza in poi sono stato meglio dopo l’ennesimo stop al menisco alla Lazio. Non nego che stavo anche pensando di lasciare il calcio”. Il contesto è stato fondamentale per uscirne: “Lavoro ogni giorno sull’approccio psicologico, ne parlo tanto anche la sera con mia moglie. L’aspetto mentale ti può far male in campo e nella vita privata. Devi trovare un equilibrio, avere una mano dalla tua famiglia e dal tuo mental coach”.
Senza il timore di affrontare argomenti considerati fino a qualche tempo fa tabù nel mondo del pallone: campioni come Robin Gosens e Alvaro Morata in tempi recenti hanno avuto la forza di parlare dell’importanza della salute mentale per un atleta: “Per me è un aspetto spesso sottovalutato – ammette Castrovilli – quando invece è la cosa più importante, dobbiamo ricordarcelo: se la testa non va, il corpo non risponde. I momenti difficili li hanno tutti, cambiano entità e gravità”.
L’album dei ricordi è una medicina spesso utile. E accanto al titolo di campione d’Europa e all’esordio nella competizione «in Italia-Galles 1-0», Castrovilli racconta di essere molto affezionato a due partite giocate con la Fiorentina: “Un posto nel mio cuore ce l’ha la sera del primo gol in Serie A: a San Siro in un Milan-Fiorentina 1-3 nel 2019, eravamo in campo io, Chiesa e Ribery. Fu una gran serata. Poi c’è anche un 2-0 a Napoli a gennaio del 2020. Segnarono Chiesa e Vlahovic ma la considero la mia miglior prestazione in carriera: sombreri, conduzione con la suola, scambi di qualità. Quella sera non ho mai perso il sorriso“.
E da quella stagione ha appreso anche una lezione: “Non mi ero comprato al fantacalcio – ricorda – il primo che mi ha comprato è stato mio cugino Antonio, mi ha pagato un fantamilione. Nelle edizioni successive mi sono acquistato, bisogna sempre credere nei propri mezzi”. Per ogni ricordo c’è una maglia da custodire in bacheca. Un concetto valido anche per il secondo esordio al San Nicola: “Sto aspettando mio figlio, la numero 4 indossata in Bari-Monza sarà sua”.
Fabio Caserta, oggi sulla panchina del Bari, è l’ultimo allenatore di una carriera che comprende anche Roberto Stellone, che l’ha lanciato tra i grandi, Beppe Iachini, Vincenzo Italiano, Vincenzo Montella e Cesare Prandelli. “Un allenatore che mi sarebbe piaciuto incrociare? Dico Antonio Conte, tutti me ne hanno parlato bene e secondo me mi avrebbe fatto fare un altro salto di qualità”.
A Bari ha firmato per un anno, il tempo giusto per provare a vincere insieme una scommessa con il destino. La parola “promozione” nella chiacchierata non è mai menzionata ma è presente nell’aria, come l’odore di pioggia quando le nuvole incombono all’orizzonte. Alla finale playoff con il Cagliari del 2023 Castrovilli ha assistito dal divano con sua moglie. Ha raccontato di aver staccato la testa a un peluche al momento del gol vittoria dei sardi con Pavoletti. Così ci saluta con una promessa: “Facciamo così, in caso di salto del Bari in Serie A comprerò un peluche per tutti i miei compagni di squadra e per lo staff. Sarebbe un modo simpatico per chiudere un cerchio”.
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