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“Il Barça, la Spagna e la vita da ct dell’Iraq”, la storia di Jesus Casas

Quando arrivò il momento dei rigori, ricordo che dalla panchina sembrava impossibile segnare a Donnarumma per quanto era grande”. Quel momento lo ricorda bene Jesus Casas, vice di Luis Enrique all’Europeo del 2021. “Anche se quella partita avremmo meritato di vincerla”. Ora è passato qualche anno. È rimasta la panchina, ma con un ruolo diverso: ct dell’Iraq. “Una grande opportunità. Sono partito nella squadra della mia città, il Cadiz, ora alleno una Nazionale”.

Nel mezzo ci sono gli anni al Barcellona osservando Guardiola, la Champions con Luis Enrique, il contatto quotidiano con Messi, Iniesta e Xavi. Ci sono l’orgoglio di rappresentare la propria Nazione e la scelta di intraprendere una nuova avventura dall’altra parte del mondo. Cultura diversa, un movimento da aiutare: “È un Paese che sta crescendo molto, dopo anni difficili dovuti ai conflitti. Spero e auguro un grande futuro a questa gente”. Con un obiettivo che sa di sogno: “Raggiungere la fase finale dei Mondiali del 2026. Sarebbe la seconda volta dopo il 1986”. La consapevolezza di voler realizzare qualcosa di grande.

  

Un cammino da costruire

Il presidente della Federazione irachena voleva un allenatore spagnolo. Durante un incontro con la Federazione spagnola gli hanno proposto il mio nome”. Il profilo ideale. Tempo di una riunione a Baghdad e abbiamo accordo chiuso “in 2 giorni”. Una la volontà: crescere. Come cultura, come movimento: “I conflitti del passato hanno rallentato lo sviluppo del calcio in Iraq. A livello di infrastrutture, metodologia o modelli di gioco sono anni indietro rispetto all’Europa. Stiamo portando molti cambiamenti. Per esempio abbiamo un solo campo di allenamento, con un hotel che si trova a 30 minuti”. O l’alimentazione: “Prima del mio arrivo mangiavano in un buffet libero o portavano in camera sacchetti di patate, barrette di cioccolato…

Un Paese che ora, a differenza di altre realtà del Medio Oriente, “sta vivendo un momento di stabilità. La Liga spagnola si sta occupando di aiutare la Lega irachena a strutturarsi. È una Nazione con mentalità forse più aperta rispetto a quelle circostanti. Le persone sono molto ospitali, molto iracheni stanno tornando qui a vivere dopo la guerra”.

 

Filosofia e tradizione

Si è figli delle proprie origini. Quelle di Jesus Casas affondano nella filosofia spagnola. “Nel 2010/11 ho iniziato a lavorare come analista all’FC Barcelona B con Luis Enrique”. Allenatore seguito poi anche in prima squadra. Champions, campionati, titoli: “Anni che mi hanno segnato”.
Gli allenamenti di Guardiola, figura che “ha cambiato il calcio”, il contatto quotidiano con Messi e compagni: “Sorprendeva la naturalezza di tutti loro nella vita quotidiana. E Leo… se vederlo giocare è incredibile, vederlo ogni giorno in allenamento è qualcosa di inimmaginabile. Il miglior giocatore della storia”. Infine l’avventura in Nazionale spagnola: “Un orgoglio, mi spiace non aver vinto titoli”.

 

Prospettive

Lo sguardo torna a posarsi sul presente: “Abbiamo iniziato vincendo la Gulf Cup e questo ha aumentato la credibilità del nostro lavoro”. Ora lo sguardo è concentrato sulla qualificazione alla prossima Coppa del Mondo. Con un po’ d’Italia: “Ali Jasim (arrivato in estate al Como) è un giocatore di grande talento. Ha molta qualità individuale, con grande facilità di dribbling. Dovrà adattarsi alla Serie A, ma con pazienza potrà diventare un calciatore importante”. Giovani da formare: “Qui c’è più talento che formazione tattica. Questo è simile alla Spagna della mia infanzia dove giocavamo per strada senza sosta. Qui lo fanno continuamente”. Prospettive e orizzonti, l’Iraq ha un futuro. Con quel sogno, un Mondiale da rivivere. “Sarebbe qualcosa di storico”.

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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