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Consapevolezze – Casarotto: “Crederci”

Matteo Casarotto – Credit: Virtus Entella

Ho 24 anni e gioco per passione. Sono in Serie D, ormai è troppo tardi per arrivare nei professionisti. Forse neanche io ci credo più. L’unico a farlo forse è papà. È sempre stato al mio fianco, ha fatto molte rinunce per permettermi di seguire il mio sogno. È stato il mio dirigente per tante stagioni. Per lui posso farcela. Sono passati tre anni da quei pensieri. Ho appena vinto la Serie C con la Virtus Entella. Papà aveva ragione. Nel mezzo sono successe tante cose. Nel mezzo ho costruito il mio viaggio.

Torniamo a quando tutto sembrava impossibile. A 18 anni ho finito gli studi da elettricista. Appena lasciata la scuola, inizio a lavorare. Trovo una conceria vicino a casa mia. È una fabbrica di elaborazione delle pelli. Mi fanno subito un contratto. Ci passo quattro anni e mezzo. Poi decido di cambiare, non vedo grandi opportunità di crescita. Mi sposto in un’altra conceria. Ci rimango fino alla chiamata della Virtus Verona, ma ci arriveremo.

Non è stato facile conciliare calcio e lavoro. Non ho mai pensato di mollare il pallone, ma è stata dura. Ma è la vita di molti calciatori che giocano nelle serie dilettantistiche. Ci sono stati giorni in cui magari si doveva restare di più in fabbrica e poi andare direttamente agli allenamenti. E farlo a dicembre con due gradi. Il tutto venendo da ore in cui si dovevano alzare parecchi sacchi di prodotti chimici da 25-30 kg. Era un lavoro impegnativo, però allo stesso tempo anche lì mi dava delle soddisfazioni. Costava tanto. Stanchezza, fatica, sacrifici. Ma la voglia di giocare ha sempre prevalso.

Nonostante tutto. Nonostante si andasse al campo la sera senza avere tutti quei benefit che si possono avere in una realtà professionistica. Il campo ghiacciato, i palloni rotti, l’abbigliamento diverso. Cambiano tante cose. Ma sono contento di averle vissute. Mi hanno reso uomo. La persona che sono lo devo soprattutto a tutti quegli anni. All’essere andato avanti anche quando sarebbe stato più facile accontentarsi. E quando ho cambiato lavoro, sono iniziati anche i turni di notte. Pensate, anche durante la stagione in cui abbiamo vinto i playoff di Eccellenza, dopo diversi anni che ci provavamo. Il programma delle mie giornate era chiaro: iniziavo alle 4 di notte, finivo alle 13.30. Tornavo a casa, dormivo, mangiavo qualcosa e alle 19 allenamento. Poi ritorno a casa, un boccone veloce e a letto. Dormivo quattro ore a notte.

Quanto pesava? Molto perché ti condiziona anche un po’ la vita e i rapporti. Ma mi ero posto l’obiettivo di farlo per tre anni per poi prendere il posto del caporeparto quando sarebbe andato in pensione. Poi in un giorno di maggio è arrivata la chiamata dalla Virtus Verona e di Gigi Fresco. Serie C, professionismo. A me, un ragazzo di 24 anni che giocava in Eccellenza. Non è stata una scelta facile. Né per me, né per chi mi stava vicino. La società non voleva lasciarmi andare. Nei miei genitori c’era un po’ il timore del poter lasciare qualcosa di sicuro per provare questa esperienza. Sarebbe potuta andare male. Le certezze erano poche. Sarei stato all’altezza? Ho passato diversi giorni a riflettere. La testa era piena di pensieri. Ma ho fatto quello che mi sentivo. Famiglia e amici mi sostenevano. “Ci devo provare. Ho lavorato tanto per questo. L’occasione è arrivata, non ci credevo più. È il mio momento”.

Matteo Casarotto – Credit: Virtus Entella

Rimanere in piedi

Alla fine papà ha fatto bene a crederci. Ha avuto ragione. Con me non si era mai sbilanciato, ma ne parlava con gli amici. “Vedrete che prima o poi Matteo arriva”. Quando gli ho detto la prima volta della chiamata dalla Lega Pro non ci crede. “Non dirmi bugie”. “È tutto vero”. Poi inizia l’avventura. Nei primi mesi sono agitato. Vengo da anni nella stessa squadra, nello stesso spogliatoio, vicino a casa. È tutto nuovo. Abitudini, ritmi, certezze. Ho fatto fatica. I primi sei mesi ho giocato veramente poco. A dicembre mi sono posto qualche domanda. “Che cosa faccio? Forse è troppo per me, meglio tornare indietro”. Sto per mollare, manca davvero poco.

Scatta qualcosa in me. “Matteo hai fatto tanti sacrifici per arrivare qui, vuoi rinunciare proprio ora?”. Alla fine decido di rimanere. Arriva la partita contro il Mantova, cambia tutto. Siamo in 10 e perdiamo 2-0 a fine primo tempo. Entro nel secondo, faccio due assist e segno il gol del 3-2 al 93’. Il giorno della svolta. L’annata successiva inizia con presupposti diversi. Ho più fiducia in me. L’ambiente ha più fiducia in me. Ma quando le cose vanno bene… il 24 febbraio mi rompo il ginocchio. Toc. Mi sono accorto subito. Dopo due giorni l’esito: crociato posteriore. Di testa l’ho accusato. Sentivo che sarebbe potuto essere l’anno della svolta. C’erano voci di mercato, qualche occasione sarebbe potuta arrivare. È stata una batosta. Difficile reagire. Nonostante questo, la Virtus Entella decide di prendermi. Mi ha preso da infortunato. Ha creduto in me. È stato uno stimolo importante per ripartire. “Devo ripagare la loro fiducia”.

Matteo Casarotto – Credit: Virtus Entella

Insieme

Una storia simile la mia e quella dell’Entella. Entrambi arrivavamo da mesi difficili. Mesi in cui toccato il fondo. O almeno avevamo rischiato di farlo. La squadra aveva rischiato di retrocedere, io venivo da un grave infortunio. È stato un sogno pensato, costruito e realizzato piano piano. Un passo alla volta. Senza pressioni, senza agitazione. Mi sono accorto subito che ci fosse qualcosa di speciale. Già durante il ritiro estivo. “Andrea, fidati di me, saliamo in Serie B”, la mia frese a Franzoni in uno di quei giorni. Il segreto? Il gruppo.

Sì è creato qualcosa di bello. Porto con me il gol nel derby contro il Sestri. E poi la partita contro l’Arezzo. Stavamo solo aspettando la fine della gara della Ternana. Minuti che ricorderò per tutta la mia vita. Mi sono goduto ogni secondo, ogni momento. Se mi fermo e penso a dove fossi fino a pochi anni fa… incredibile.

Crederci

Ci ho creduto. Ho creduto a quel sogno iniziato nel campetto del paese dove passavo tutti i miei pomeriggi con gli amici con Del Piero come idolo. E poi gli anni al Montecchio Maggiore. Sono entrato che ero un bambino, mi hanno reso uomo. Dal fare il raccattapalle all’arrivare in prima squadra, indossando la fascia da capitano e mantenendo la promessa fatta al presidente: riportare il club in Serie D. Ci sono volute tante stagioni. Ma a volte il cammino richiede tempo, bisogna avere la pazienza e il coraggio di vivere l’attesa. Sono la persona che sono grazie a questo. All’attesa.

Sono qui grazie ai tanti anni tra i dilettanti. Sono qui perché una parte di me ci ha sempre creduto, nonostante tutto. Tornassi indietro rifarei tutto, non desidererei strade alternative più rapide. Il percorso mi permette di apprezzare dove sono ora. Il mio viaggio è stato così, graduale. Ma guardate da dove sono partito. Pochi anni fa ero in Eccellenza, ora ho conquistato la Serie B. Ho esultato da professionista davanti a tutta la mia famiglia. Alla fine aveva ragione papà. Bisogna crederci. Crederci e seguire la passione. La passione per quel pallone.