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Calciosofia – Il fascino del calcio? “Colpa” di Aristotele, Sartre e della nostra imprevedibile vita

L’accostamento fra filosofia e pallone è tanto affascinante quanto inevitabile. Il calcio è molto più di un semplice sport, e come tale va trattato. Noi ci divertiamo così: a far sporcare le mani – e i piedi – alla filosofia, facendola parlare di calcio. Con semplicità, rispetto e un pizzico d’ironia. Perché, come dice Mourinho, “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”

Il calcio è affascinante. È indiscutibile. Basta vedere i numeri: un censimento della Fifa effettuato nel 2007 ha stabilito che i tesserati (cioè i “tecnici” più i giocatori) sono più di 265 milioni nel mondo. Quasi il 4% della popolazione delle Terra. E non è finita qui, perché a questo numero vanno aggiunti tutti gli addetti ai lavori, i tifosi e così via. Certo, e anche noi che vediamo le partite dei nostri beniamini in pantofole davanti alla tv. L’esercito del calcio è spropositato: questo gioco – solo un gioco? – crea verso l’uomo un’attrattiva incredibile. E il bello è che è riscontrabile a tutti i livelli: chi passeggiando in giro non si è fermato un attimo a vedere dei bambini palleggiare per strada? E ognuno di noi in spiaggia almeno una volta ha cercato di organizzare la classica partita di beach soccer… Perché questo sport ci affascina così tanto? Aristotele ha la risposta pronta: si tratta di meraviglia. Per il greco, è questo il motivo che spinge l’uomo a fare filosofia. La natura ci suscita questo sentimento, e di rimando si comincia a far filosofia. Per il calcio è la stessa cosa: dalla meraviglia inizia tutto. Chi ha visto giocare il Barcellona sa di cosa sto parlando. Come si può non rimanere affascinati – o meglio, meravigliati –  davanti a questo modo così incredibile di giocare, fatto di passaggi stretti e veloci triangolazioni? Impossibile. Ma la meraviglia può essere provocata da qualsiasi gesto tecnico: una sgommata di Ronaldo, una verticalizzazione di Pirlo, un tacco di Ibra o una parata plastica di Neuer.

Ma non è finita qui, perché il calcio è affascinante anche per un altro motivo: è universale. È un’idea di Hoyningen-Huene, e noi le corriamo dietro. In fondo è vero: davanti ad una partita tutte le differenze si annullano. D’età, geografia, linguaggio e così via. Basta pensare a quando ci troviamo in vacanza ad organizzare la classica partitella con degli stranieri, e quando si gioca ci si capisce al volo. Chi scrive ha visto la finale dei Mondiali del 2006 in compagnia di tifosi tedeschi, e vi posso garantire – ma ce n’è bisogno? – che anche loro si emozionavano al mio stesso modo. Forse io un po’ di più, data la posta in palio… Il calcio è un linguaggio universale che abbatte le barriere: ci vuole la filosofia per scoprirlo? Ma c’è un altro fattore che rende ancora più frizzante il discorso: il calcio rimette in scena il dramma – nel senso di pathos – della vita. Che significa? Il bello della vita è che non va sempre secondo i nostri piani, e ci possono essere mille cause: la nostra inadeguatezza, errori di valutazione, sfortuna o ostacoli vari. E’ imprevedibile nel suo svolgimento, pronta sempre a colpi di scena. In ogni caso, per far fronte alle difficoltà cerchiamo delle strade o delle tattiche per risolvere i problemi. Sembra veramente la descrizione di una partita. Così ha fatto Allegri nella partita con il Napoli: non stava andando bene, ha messo Zaza e ha risolto la partita. È evidente che la vita sia simile al calcio, e che questo gli dia molto fascino.

Sartre ci dà ragione, e pensa che “il calcio sia una metafora della vita”, proprio per questo motivo. Perché in piccolo recupera molti grandi temi che si trovano nella vita di tutti i giorni. Il gruppo, le regole, gli obiettivi, i conflitti: Sartre ci va a nozze. E c’è chi è anche andato oltre: si tratta di Sergio Givone, filosofo italiano per il quale invece è la vita ad essere metafora del calcio. Addirittura? Forse esageriamo, ma forse non così tanto. Infatti – lo abbiamo detto prima – se siamo attratti così tanto da questo gioco, è perché ci vediamo uno spettacolo simile alla vita. Da un esistenzialista ad un altro, Camus: “Ciò che so riguardo a doveri e moralità lo devo al calcio”. Chi ha tirato due calci al pallone non stenterà a credergli. Per giocare a calcio bisogna sforzarsi, allenarsi e battagliare lealmente con il proprio avversario, dando il meglio di sé. E nello stesso tempo, rispettare il nostro sfidante. Le rivalità appartengono alla nostra quotidianità: ogni giorno “sfidiamo” gli altri senza sapere come andrà a finire, e ogni giorno si ricomincia. E non ci si annoia mai, come succede nel calcio. Quale appassionato sbadiglia davanti alla sua squadra preferita? Nessuno, perché è come rapito, da qualcosa simile a sé, affascinato e meravigliato. Alla fine, il giocatore è un po’ come il filosofo. Forse è anche per questo che il calcio è così affascinante.

A cura di Luca Mastrorilli

Redazione

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