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Calcio, gavetta e…Milo. Gianluca Sansone si racconta: “Dieci anni fa vincevo il campionato in serie D. Ora segno…per il mio cane”

Credete nei vostri sogni, combattete – anche nei momenti più difficili – affinché essi si avverino. Tra la mera retorica e il fine ultimo di ognuno di noi, passa un interminabile flusso di coscienza, una voluntas di cui troppo spesso ignoriamo la presenza contingente. Il coraggio di andare avanti e di non guardare indietro. La forza di superare le difficoltà e di non rassegnarsi, anche quando si vede tutto nero. Questo significa lottare. E lui, Gianluca Sansone, attaccante del Novara, lo sa fin troppo bene. Dall’Eccellenza alla Serie A, ha giocato in tutte le categorie. “Guardando indietro rivedo quel bambino sui banchi di scuola che pensava, ‘magari un giorno…’ senza sapere però quanto fosse lungo e tortuoso il percorso da fare. Arrivare in A è stata una liberazione, ho raggiunto l’obiettivo della vita”.

Un tipo introverso ed estremamente riflessivo. Uno di quelli che conta sempre fino a dieci prima di proferir parola, interrogazioni scolastiche incluse. “Non ero una cima, ma non andavo nemmeno male. Mi sono diplomato al Liceo Scientifico poi una volta finito ho provato a fare Scienze Motorie ma con l’obbligo di frequenza non sono riuscito e così ho smesso. L’università è stata il mio rimpianto più grande. Io non sono uscito dalla Primavera di una grande squadra – racconta Sansone ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com e quindi dovevo in qualche modo tutelarmi per il futuro anche perché giocavo nei Dilettanti e soprattutto vedevo il calcio solo come un gioco, senza guardare all’aspetto economico…”. Riflessione azzeccata ed estremamente affascinante, senz’altro originale. Non soltanto perché spesso l’essenza delle cose (a partire dalle più banali) non è quantificabile (tanto meno in termini pecuniari), ma perché se si opera in questo senso si perde quell’incanto, quella magia che riesce a stupirti, a entusiasmarti o semplicemente a farti andare oltre l’apparenza.

Ma c’è ancora spazio per gli occhi del fanciullino? Domanda difficile, in un mondo molto veloce e concreto, che quasi non lascia spazio alle nostre emozioni più intime, attento piuttosto al facere. “Tra sfortuna e altre cose, di delusioni non sono mancate. Ricordo quando sono partito in ritiro con il Siena e mi sono rotto il crociato. Quello è stato un anno terribile, a gennaio ho dovuto ricominciare dal Gallipoli, in Serie C e l’ultima partita del campionato, la più importante, mi è arrivata una mazzata incredibile…”. Se lo ricorda come se fosse ieri, deve aver significato tanto per Sansone… “Fin troppo! In caso di vittoria avremmo vinto il campionato. Non vedevo l’ora di scendere in campo e invece il mister decise di mandarmi in tribuna. Io ci andai sì, ma in lacrime. ‘Ho ancora la giusta concezione del calcio?’, non si sa le volte che me lo sono chiesto: è stato come togliere un giocattolo dalle mani di un bambino”. Ricorda l’episodio con un sorriso carico di amarezza, ma ci tiene subito a precisare: “Comunque mai lamentarsi, io a volte certi discorsi che sento faccio fatica a capirli. In Italia si cerca sempre di vedere i problemi, di crearceli anche laddove non ci sono. In giro c’è tanta infelicità che non capisco”. Un argomento particolarmente importante e delicato, senz’altro vero. Spesso siamo infelici di una infelicità che in realtà non abbiamo, ci creiamo ad hoc, ‘tanto per aver qualcosa di cui parlare o lamentarsi’. Guardando mio fratello che lavora in un magazzino a Reggio Emilia, mi rendo conto di quelle che sono davvero le difficoltà, ad esempio per arrivare alla fine del mese. Noi calciatori siamo dei privilegiati, non dobbiamo scordarcelo mai”.

Valori forti, Sansone. Non solo in campo. Grazie a papà, che con i suoi modi molto schietti ha sempre creduto in me e ha fatto in modo che io potessi riflettere e correggere i miei errori. Grazie alla mia famiglia ho raggiunto qualcosa che pensavo fosse impossibile…La Serie A!”. E pensare che dieci anni fa vincevi il campionato in Serie D, come vola il tempo… Con il Pescina Valle del Giovenco, una società abruzzese della provincia dell’Aquila. Quegli ambienti familiari hanno significato tanto per me. Una risata con il magazziniere, un’altra con l’autista oppure quando ero in Eccellenza il sabato sera si andava a mangiare una pizza insieme e la domenica a giocare. La felicità è nelle cose semplici”. Tautologia sacrosanta e inconfutabile. Il sorriso è sempre lo stesso, c’è soltanto un particolare (tutt’altro che trascurabile) in più: “Il mio cane! Da sei anno a questa parte gli ho dedicato la mia vita. Organizzo le vacanze per lui e non so quante ore al giorno di passeggiate facciamo. Non riesco a descrivere questo attaccamento, so solo che mi regala emozioni uniche e deve stare sempre vicino a me. Quando lo vedo stare bene, sto bene anche io. E’ un Jack Russell, si chiama Milo. Mi sono tatuato da poco il suo ritratto sulla coscia e gli ho dedicato il gol contro il Frosinone. L’ultimo di una lunga serie…”.

Pensa se fosse stato con te al Sassuolo, sarebbe stata una dedica continua… Ho fatto venti gol quindi al livello personale è stata un’esperienza positiva, ma oggi che sono più ‘anziano’ e guardo le cose anche da un’altra prospettiva dico tranquillamente che avrei preferito farne qualcuno in meno e magari ottenere la promozione. Al Bologna è durata solo sei mesi, ma abbiamo vinto il campionato e anche quella è stata una bella avventura”.

Ora guarda avanti… “Mi sento più vivo di quando ho iniziato e mi auguro che il bello della mia carriera debba ancora arrivare”. Seconda punta per necessità (“Giocavo esterno di centrocampo, ma con l’invenzione delle difese a tre mi sono dovuto adattare”), ottimista per inclinazione. Di voluntas e d’orgoglio, sempre con l’elmetto in testa Gianluca Sansone.

Lorenzo Buconi

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