Calafiori: “Giocare in Premier un sogno, all’Arsenal non si può dire di no”

Il racconto di Calafiori della sua prima stagione in Inghilterra
È terminata la prima stagione con la maglia dell’Arsenal di Riccardo Calafiori, rivelazione della scorsa stagione di Serie A e dell’Europeo dell’Italia, tanto da guadagnarsi la chance chiamata Premier League.
Una stagione di soddisfazioni ma senza titoli, con un cammino fino alla semifinale di Champions League ma anche con diversi infortuni che lo hanno tenuto spesso lontano dal campo.
Il classe 2002 ha raccontato la sua annata in un’intervista rilasciata a Sky Sport Insider: “In realtà all’inizio mi sono un po’ catapultato in questo mondo, ho cominciato a giocare da subito e non ho risentito molto del cambiamento. Poi stavamo andando bene anche dal punto di vista della classifica, vincevamo molte parte. Mi sono sentito subito parte del gruppo. Tutti quanti sono stati molto bravi a farmi integrare fin da subito”.
Ma poi, appunto, sono arrivati i problemi fisici: “Ne ho risentito un po’ a ottobre, quando mi sono fatto male per la prima volta, in quel momento mi sono fermato a ragionare su tutto quello che mi era capitato nell’ultimo anno. E quindi mi è arrivata la botta tutta insieme. Sono arrivato al Bologna che non dovevo giocare e ho fatto una stagione stupenda, anche grazie ai compagni. All’Europeo non pensavo neanche di andarci e ho fatto benissimo. Poi l’Arsenal, forse non avevo realizzato. Mi è servito”.
Calafiori: “Al Bologna non dovevo giocare, impossibile dire di no all’Arsenal”
Parlando del suo passato al Bologna, Calafiori ha svelato un retroscena sul suo arrivo dal Basilea: “La verità è che non ero una necessità, non servivo a molto, forse a livello numerico per essere più coperti dietro, ma terzini li avevano, centrali li avevano, forse poteva servire un mezzo centrale mancino dietro ma io avevo fatto solo due mesi a Basilea da centrale mancino. E invece poi appena arrivato ho avuto un bel feeling con il mister, mi ha rassicurato dicendomi che avrei avuto le mie occasioni anche come centrale. E poi succede che Lucumí si fa male, si stira il quadricipite, e da lì ho cominciato. Anche lì non benissimo, contro il Cagliari appena entrato causo rigore, ma dalla partita dopo poi non ho più lasciato il campo e ho giocato una partita dopo l’altra. E niente, una stagione che si commenta da sé”.
E dopo un’ottima stagione in rossoblù, la chiamata dell’Arsenal: “Non penso di aver sbagliato a venire qui. Io ambivo al mio sogno, un altro dei miei sogni era giocare in Premier ma anche come una sfida personale perché gli italiani in Premier hanno sempre fatto fatica, sono sempre stati in pochi quindi volevo superare questo. Poi quando ti chiama l’Arsenal come fai a dire di no?”.
“Dopo quello che è successo a Bove non ho più capito niente”
Calafiori ha parlato anche del suo passato, come del rapporto con Edoardo Bove, lontano dal campo da quel Fiorentina-Inter dello scorso 1 dicembre: “Non stavo guardando la partita ma a un certo punto momento ho acceso la tv per vedere il risultato e ho visto che la partita si era fermata ma non capivo il motivo, poi subito dopo mi chiama mia madre in lacrime e mi dice ‘Forse Edo si è sentito male’. Lì non ci ho capito più niente, ma mia madre piangeva proprio. Lei è molto amica della madre di Edo e l’ha sentito, io mi sono spaventato ma non ho saputo neanche reagire. Non capivo niente. Poi fortunatamente ho scritto anche alla sua ragazza e mi ha detto che si era risvegliato e che dopo ci sarebbero stati tutti gli accertamenti del caso. Però una bella botta. Posso solo immaginare per lui e la sua famiglia che momenti sono stati”.
Tornando indietro, infine, ha parlato anche del grave infortunio avuto all’età di 16 anni: “Mi hanno detto ‘Facciamo un’operazione subito e una tra un mese o due ma ti diciamo la verità, non crediamo che potrai più giocare a calcio’. Così mi hanno detto, il giorno stesso. Con mia madre vicino. Lo dico sempre, lo ripeto sempre anche ai miei familiari, ai miei amici: fosse successo tre o quattro anni dopo non so se ce l’avrei fatta. Sicuramente non sarei tornato come sono tornato dopo, perché l’incoscienza, l’essere un bambino ancora, non pensare alle conseguenze, avevo solo tantissima, tantissima voglia di tornare a giocare. Perché appunto era una sfida con me stesso e contro chi mi aveva detto che non avrei potuto tornare a giocare”.