Il Capo Delegazione degli Azzurri analizza il momento e traccia una linea
Schietto e mai banale. Prima in campo, ora nelle dichiarazioni. “Sa qual è il problema? Vivere in due mondi che non s’incontrano. Da un lato, in virtù della nostra storia, siamo presuntuosi: pensiamo che tutto ci sia dovuto per grazia divina. Dall’altro però facciamo grandi analisi sull’evoluzione del calcio, sul fatto che non esistano più le piccole, e siamo tutti d’accordo. Ma quando queste ‘piccole’ ti mettono in difficoltà, oppure le batti solo 1-0, ecco che senti: ‘Non si può vincere così, che vergogna…’. E dalla spocchia precipiti nella paura. Una discreta propensione al tafazzismo. Ma è così difficile trovare un equilibrio?“.
Gianluigi Buffon analizza tutto quello che oggi non funziona nel sistema calcio italiano. “La Francia è una grande da trent’anni, la Spagna da quasi venti, loro sono nel presente. La nostra storia è molto più lunga. Stiamo vivendo un periodo di transizione e non abbiamo capito quale strada prendere. Paghiamo anche gli errori del passato. I risultati di oggi risalgono a venti anni fa, a quando ci siamo adagiati sulla nostra forza, su Buffon, Cannavaro, Totti. Pensando che sarebbe stato eterno per grazia ricevuta. Già allora dovevi ripensare a modelli tecnici e tattici, ma siamo stati cicale”.
Intervistato a La Gazzetta dello Sport, il Capo Delegazione degli Azzurri traccia una linea: “Sono in Figc da oltre due anni e non potete negare che qualcosa sta succedendo. Giovanili vincenti, progetti. Ma l’altro giorno sorridevo: se riusciremo a invertire la rotta, non godremo noi dei risultati. Però è una scelta coraggiosa che la politica spesso non fa, attenta ai voti e quindi al tutto e subito, senza pensare alla programmazione. Noi dovevamo farlo, ci vuole pazienza. E comunque: se lavori bene, qualche risultato arriva subito”.
La vera soluzione? “Ripartire dal basso: intendo da sette a tredici anni, quando c’è il vero imprinting. Dai quindici anni puoi sempre migliorare, però il talento si forma prima, oltre all’aiuto di madre natura che non trascurerei. Con Prandelli stiamo parlando per capire come impostare questo lavoro, ma volevamo aspettare le qualificazioni per definire il tutto. E se poi va male, ci siamo detti? Tutti via, si torna a casa, arriva uno nuovo con altre idee e magari cancella il progetto… Se si cominciano progetti così, ci vuole stabilità”. Tutto passa dal tipo di allenamento: “Noi siamo cresciuti con i risultati anche da bambini: giocavamo per vincere, poi la tattica ha preso il sopravvento nell’età adolescenziale. Ne parlo spesso con Maurizio Viscidi (coordinatore delle giovanili, ndr): grandi risultati nelle Under, ma a un certo punto la crescita si ferma. Questa nostra vocazione tattica è sicuramente limitante, però ci serve anche a coprire alcune carenze: non è che ci sia uno come Yamal in giro… Ma una cosa è sicura: dobbiamo tornare ad allenare le abilità“.
Ora, però, il presente dice playoff Mondiali. Ancora una volta. Sul cammino azzurro c’è l’Irlanda del Nord (e in un’eventuale finale una tra Galles e Bosnia. “In partite così ogni aiuto conta e il pubblico dà una grandissima mano. E la paura attanaglia, non ti fa giocare: ci vuole invece il giusto rispetto, tenendo ben presente che per arrivare alla finale bisogna passare per la semifinale… non dobbiamo annegare in una nuova Macedonia“.
Il pubblico e il tifo. Buffon lancia un appello. “I ragazzi vogliono anche essere apprezzati, hanno bisogno d’affetto. Di entusiasmo. Loro danno disponibilità totale. Posso fare un appello? Vogliamo bene all’Italia. Tutti. Continuare con stupidi paragoni con il passato fa solo sentire inadeguati quelli di oggi. Con la Nazionale c’è sempre stato un gioco al massacro, lo so bene, ma cerchiamo di capire il momento storico: a chi giova?”.
Buffon non ha dubbi su Gattuso: “Rino è il ct giusto, è la figura migliore che si potesse scegliere. Le critiche ingiuste vengono soprattutto da fuori. E io che in Nazionale ho giocato vent’anni so una cosa: l’Italia vince soltanto se si fa gruppo. Proprio quello che Rino sta creando. Se poi se si sbaglia, bene, si valutano le colpe e tutti a casa. Ma prima no, per favore…“.
E poi: “Gattuso allena da dodici anni, è un grande professionista: non mi piace e non capisco questa prevenzione nei suoi confronti. Con lui parlo di soluzioni e idee, prima e dopo la partita, in settimana. Ma decide tutto lui, tipo il doppio 9 che è un’intuizione geniale: quando me l’ha anticipato, gli ho chiesto se fosse sicuro. Mi ha spiegato come avrebbe funzionato, i movimenti”.
Buffon è poi tornato a parlare del pesante ko contro la Norvegia a San Siro. “Fino al 78’ eravamo 1-1. Poi un crollo mentale, più che fisico, inaccettabile. Su questo dobbiamo lavorare tanto. Succedeva anche con Spalletti: dopo cinque partite di Nations da grande squadra, il blackout. Inspiegabile. Ma la Norvegia è una delle tre o quattro più forti d’Europa. La Norvegia farà strada al Mondiale. A leggere la loro distinta a San Siro mettevano paura. Sette su undici della formazione titolare erano da 1,89 a 1,96. E poi con Haaland cominciano sempre da uno e mezzo a zero“.
“Dobbiamo cambiare, non possiamo subire più questi crolli emotivi, si stanno ripetendo. Impossibile essere in partita novanta minuti: a volte stai settanta, ma negli altri venti devi gestire e non far succedere disastri. Ne parlavamo anche con Spalletti. Non puoi prendere tre gol in dieci minuti. Lavoreremo su questo. Se risolviamo, ce la giochiamo con tutti”. E su chiede di fare più gol: “Quando mai l’Italia ha segnato tanto nella sua storia? Quante goleade ricordate? E qualcuno s’è lamentato per i ‘soli’ tre o quattro gol all’Estonia: ma si scherza? Abbiamo un punto fermo per il futuro: il gol, e attaccanti forti che giocano assieme”.
“Aspettiamo Chiesa: ce ne sono pochi in Europa come lui. Ma Rino non ha lasciato a casa nessuno che lo meritasse. Ripeto: conta il gruppo…”.
Rinviare il campionato nel periodo degli spareggi? “Tutti ci battiamo il petto al momento dell’inno, poi magari ci asciughiamo lacrime finte sulla camicia dopo la sconfitta… Per essere chiari: ci aiuterebbe tantissimo avere quei giorni liberi. Ma dobbiamo trovare il modo di essere più forti anche di queste concessioni che non arrivano“.
“Mio figlio? Ah, be’, fino a quattro o cinque mesi fa aveva l’uno per cento di possibilità di essere un calciatore. Ora ha soltanto lo zero virgola cinque. Perché non ha ancora fatto niente, ha dieci minuti di Serie A addosso e gli ho detto di non leggere niente che lo riguardi. Stiamo correndo troppo e non gli fa bene”.
Insomma, il rischio è pensare subito in grande. “Quando giocavo e cominciavano i primi elogi, papà e mamma mi ricordavano che in famiglia una decina di persone avevano già vestito maglie di varie nazionali, quindi non facevo niente di speciale. È servito tantissimo”.
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