Le parole del capodelegazione azzurro protagonista di un panel ad Atreju
Magia, Mondiale e talento. Mai banale nelle dichiarazioni Gianluigi Buffon. “Ora il nostro obiettivo è andarci. La mia fortuna è stata non tanto viverlo da protagonista quanto viverlo da tifoso. Andarci porterebbe magia nel paese e l’Italia diventerebbe un grandissimo oratorio dove tutti siamo uniti e nel quale condividere tutto, sentendoci tutti più uniti e solidali. Questa magia l’ho ritrovata in pochissimi eventi e il Mondiale di calcio è uno di questi”.
Il capodelegazione della nazionale italiana è intervenuto a un panel ad Atreju “Quando lo sport diventa comunità: il ruolo degli oratori nella formazione dei giovani”.
Buffon si è poi soffermato sulla qualità del calcio italiano e sulla continua ricerca del talento: “Il talento non si crea in uno o due anni, ma nasce da un lavoro che parte da lontano. Bisogna intervenire sull’età di base, tra i sei e i tredici-quattordici anni, gli anni in cui il talento va intercettato e forgiato, anche con metodologie diverse rispetto al passato. Il problema è che adesso potremmo intercettarlo un po’ meno, perché in questo periodo storico ci sono fortunatamente anche tantissimi altri sport, su tutti il tennis, che stanno catalizzando l’attenzione delle giovani leve. L’Italia ha un Dna calcistico, come Brasile, Argentina o realtà più piccole come Uruguay e Croazia: i talenti ci saranno sempre. L’importante è saperli vedere, saperli forgiare e non soffocarli”.
All’evento è intervenuto anche il Ministro per lo sport Andrea Abodi: “Adesso c’è la Nazionale e c’è un obiettivo. Possiamo auspicare che all’interno del sistema federale, così come sta succedendo, si capiscano le ragioni di una crisi e si cerchino le soluzioni per superarla. Questo presuppone competenza, responsabilità e armonia all’interno del sistema. Tutti saremo vicini alla Nazionale per fare un tifo sfrenato, ne abbiamo bisogno noi che l’abbiamo vissuto e anche i giovani che non hanno mai visto la Nazionale ai Mondiali. Per estrarre il talento bisogna cercarlo dando opportunità, coltivandolo e avendo uno spartito e una metodologia che forse va rivista. Negli ultimi 20 anni ci siamo concentrati sul metodo di gioco, sul modo di stare in campo, ma ho la sensazione che i nostri ragazzi e le nostre ragazze non si divertano tanto. Il pallone deve presupporre il gioco organizzato, ma quando l’esasperazione dell’organizzazione toglie il piacere di giocare a pallone qualcosa si perde. Non credo non ci sia talento, ma non esce da solo, bisogna saperlo individuare”.
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