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Bruno Alves, il gigante portoghese cresciuto a ‘botte e Playstation’ col Cagliari nel futuro

Un gigante e la Sardegna, Bruno Alves da una parte e il Cagliari dall’altra: che avranno mai in comune? Niente all’apparenza, tantissimo nella realtà. Lui granitico, massiccio, roccioso: dall’aggressività che sfoggia in campo nessuno direbbe mai che nella vita di tutti i giorni è discreto e riservato, proprio come il popolo sardo. Timido e schivo: è difficile incontrarlo fuori dal campo, preferisce di gran lunga dedicarsi alla moglie Ruth e ai propri figli piuttosto che interagire coi social. Ma dategli il tempo di conoscervi e quando vi guadagnerete la sua fiducia diventerete quasi sacri per lui: per i compagni in campo si immolerebbe vivo, nel vero senso della parola. Generoso, fiero e affidabile poi, proprio come il classico abitante della Sardegna, col quale però condivide anche un piccolo difetto… Bruno Alves è un tantino suscettibile ed ha un rapporto non esattamente idilliaco col cartellino rosso: chiedere al malcapitato Harry Kane per averne conferma, quasi decapitato proprio dal portoghese.

Una pecca controbilanciata dal vizio del gol, soprattutto con la maglia del Portogallo: con 11 reti è il difensore più prolifico della storia della nazionale capitanata da CR7. A chi gli chiede di creste, doppi passi e colpi di tacco lui semplicemente preferisce rispondere “palla o gamba”. Chiaro, no? Il calcio che ama è quello vero, quello con cui è cresciuto grazie a papà Washington, anch’egli calciatore insieme agli zii Geraldo, Lincoln, Wilson e Giulio Cesare. Eh sì, probabilmente nonno Osvaldo aveva una predilezione per i nomi di presidenti ed imperatori… Ma non è finita qui, anche i due fratelli di Bruno sono giocatori professionisti: Julio, di undici anni in meno, nel Rio Ave e Geraldo (stesso nome dello zio), più grande di appena un anno, nell’Astra Giurgiu. Quest’ultimo poi ha avuto un ruolo fondamentale nella vita di Bruno Alves: un’infanzia condivisa col pallone tra i piedi, ma soprattutto tra botte e Playstation. “A Bruno piaceva stuzzicare”, ha affermato Geraldo stesso in un’intervista rassicurando però tutti: “Non c’è mai stato nulla di grave, solo due caratteri forti”.

Dopo le esperienze tra Porto, Vitoria Guimaraes, AEK Atene, Zenit e Besiktas, a 34 anni suonati avrebbe potuto definitivamente concludere la propria carriera, ma ad una più tranquilla “pensione” ha preferito di gran lunga una nuova sfida ed eccolo qui, a Cagliari senza pensarci due volte, con la Sardegna che si appresta ad accogliere il proprio gigante così diverso ma così simile al popolo sardo, soprattutto nell’aspirazione di vivere la prossima Serie A da protagonista.

di Alberto Trovamala

Redazione

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