C’erano quasi duecentomila tifosi brasiliani sugli spalti del Maracanà. C’era la convinzione di aver già vinto il primo Mondiale e gli orologi da consegnare a fine partita ad Ademir e Zizinho. Poi il discorso celebrativo del generale Mendes prima del fischio d’inizio e il carnevale pronto a travolgere le strade di Rio de Janeiro. Dall’altra parte, con la maglia dell’Uruguay, c’era Obdulio Varela. “Los de afuera son de palo!”. E la storia cambiò.
Perché il Brasile, fin dall’inizio del Mondiale, aveva le idee chiare: vincere. Un concetto che la Seleção di Costa ribadì sul campo senza troppi problemi. Girone dominato, così come dominate furono le partite contro Svezia (6-1) e Spagna (7-1) nella fase finale. Risultati che prepararono il Maracanà alla grande festa. Cinquecentomila magliette con la scritta “Brasil campeão 1950” vennero consegnate ai tifosi verdeoro, le strade di Rio de Janeiro avevano già cominciato a respirare il Carnevale, mentre i quotidiani titolavano, ancor prima dell’inizio del match, “Estes são os campeões do mundo”. Questi sono i campioni del mondo.
Insomma, per l’Uruguay vincere quella partita non sarebbe stato affatto facile. Tutto faceva pensare al peggio: la bolgia sugli spalti e l’entusiasmo mischiato alla qualità dei brasiliani, che in quella partita potevano anche pareggiare per mettere le mani sulla Coppa Rimet. L’Uruguay no. Per essere campione del mondo la squadra di Fontana aveva soltanto un risultato a disposizione. Nel tunnel Oscar Miguez, dirigente uruguaiano, raccomandò Ghiggia e compagni di non subire più di quattro gol. Bastò una frase di Varela, capitano di quella nazionale, per cambiare la storia: “Los de afuera son de palo!“. Traduzione: quelli là fuori non esistono. Crederci era difficile, ma Varela alla fine ebbe ragione.
Il Brasile passò comunque in vantaggio nel secondo tempo, grazie al gol di Friaca. Il Carnevale cominiciò. In campo però, Obdulio Varela prese il pallone, lo strinse sotto il braccio e camminò fino al al cerchio di centrocampo. Il suo obiettivo era quella di rallentare l’urto dell’onda brasiliana. Lo stadio si innervosì, i giocatori brasiliani erano confusi. Alla ripresa del gioco prima Schiaffino, poi Ghiggia mandarono l’Uruguay sul tetto del mondo. Il Brasile era stato sconfitto. Il silenzio abbracciò il Maracanà, e il paese piombò per tre giorni in un lutto nazionale.
Lo stesso Varela, dopo la partita, si trovò in un bar per festeggiare. Davanti a lui un tifoso verdeoro era in lacrime. Il proprietario si avvicinò. “Lo sa chi è questo qui? È Obdulio“. L’uomo del Maracanazo.
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