Una Copa América tra sogni e paure, una Copa América di rivincite e successi per un Brasile tornato a essere grande in casa sua. Alla prima giornata il grosso brivido era lo spettro della maglia bianca, quella maledetta del Maracanazo; contro l’Argentina invece era lo stadio Mineirão, lo stesso del 7-1 contro la Germania peraltro ancora in semifinale. Due demoni da scacciare, due successi dal sapore speciale. Ma se la gara inaugurale è servita solo a rompere il ghiaccio, quella con l’Argentina è stata una vittoria dal valore enorme. Preziosissima per ciò che significa, sofferta per come è arrivata.
Un Brasile bello e divertente per venti minuti, prima di segnare il vantaggio e di passare a uno stile meno bailado e più pragmatico. Partita dura contro un’Argentina che corre e che fa tremare i tifosi di Belo Horizonte: due pali, qualche altro spavento e un Messi che a tratti riesce a trovare le sue migliori giocate. Solo che lui non è riuscito a sfatare la sua maledizione: si chiama Alisson e quando lo incrocia l’esito è sempre l’eliminazione. Due volte in Champions, una in Copa América, tre maglie diverse per tre qualificazioni pesantissime.
E la punizione della Pulga parata sotto la traversa è l’emblema di tutto ciò: di un’Argentina che ci prova con tutti i mezzi senza farcela, di un Brasile che si aggrappa al suo portiere e alla sua capacità di saper soffrire, della differenza tra chi ha saputo sconfiggere il proprio passato e chi invece ne è rimasto ancora sottomesso.
L’Argentina esce, per una volta con la testa alta. Ma è il Brasile a festeggiare, conscio di aver superato la cosa che temeva di più di questa Copa América giocata da padrone di casa ma soprattutto da assoluta favorita: la mistica del torneo, i ricorsi storici che il Sudamerica prima o poi ti presenta. Ma dopo aver esorcizzato la maglia bianca e il Mineirão, nulla sembra più poter fare davvero paura.
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