“Ogni calciatore ha una storia incredibile che merita di essere raccontata”: è così che Andrea Bonatti diventa uno storyteller d’eccezione. Lui che di queste storie ha fatto parte e ad alcune ha anche dato un plot twist. 40 anni, allenatore da quando ne ha 23. Un passato in Serie C – Triestina e Fiorenzuola – e soprattutto in Primavera: tra Lazio e Juventus ne ha allenati tanti, da Soulé e Savona a… Pedro Neto. Sì, l’esterno da 60 milioni del Chelsea, che – non tutti lo ricorderanno – ha nel curriculum un’esperienza da meteora biancoceleste.
Bonatti è un bravo narratore: quando parla ti coinvolge. Studia per allenare all’estero, in estate ha sfiorato la Premier League da assistente ma la trattativa è saltata, ora aspetta la chiamata giusta. Ma su di sé taglia corto: “Voglio solo ringraziare Lazio e Juventus per avermi forgiato come professionista: ho lavorato con dirigenti e calciatori fantastici. Ora parliamo dei ragazzi, se lo meritano”. E allora partiamo e la nostra chiacchierata si colora d’azzurro: Bonatti su Nicolò Savona ha puntato forte. “Oggi vederlo in Nazionale è una gioia”. La sua è una storia atipica: “Alla Juventus da ragazzino giocava poco: al suo posto c’era Mulazzi, stessa età e stesso ruolo. Nella stagione 2020-21 il direttore Scaglia ha scelto per lui il percorso giusto: è andato in prestito alla SPAL perché non avrebbe trovato minuti in Primavera alla Juve, ma fino a marzo 2021 non ha giocato neanche lì”.
Le cose sono cambiate ad aprile: “Ha avuto continuità nelle ultime dieci di campionato e la SPAL ci ha battuto con lui titolare in fascia destra. A fine prestito la Juve voleva riportarlo a casa e tenerlo, ma lui aveva ancora paura di non giocare e voleva andare via. Dove? Al Torino, che lo aveva chiamato”. Sliding door a un passo: “Poi lo abbiamo convinto a restare. Gli ho garantito che avrei puntato su di lui perché ci credevo: ho alzato Mulazzi a esterno offensivo per farli giocare entrambi. Poi la bravura è stata tutta sua nel conquistarsi il posto ogni settimana e crescere tanto da arrivare in Nazionale”.
Di storie bianconere Bonatti ne ha tante: lo spunto giusto per il secondo nome ce l’ha offerto Thiago Motta, che oltre a Savona quest’anno ha lanciato a sorpresa Samuel Mbangula. Un gol, tre assist e un inizio da protagonista per il trequartista belga. Ma quattro anni fa questa favola avrebbe potuto prendere una piega diversa: “Nel periodo Covid, Samu era andato a casa in Belgio e non voleva più tornare a Torino. A lui sono molto legato, è sempre stato smart: intelligente e furbo. Quella volta siamo stati duri: ‘Tu domani vieni qui, punto: in aereo, in macchina, in bici, non ci interessa’. Eravamo lì per aiutarlo e sapevo che lui poteva aiutare noi. È tornato e si è conquistato il posto da titolare, sotto-età, in partite importanti: ad Alkmaar contro l’AZ in un ottavo di Youth League e poi con l’Atalanta in semifinale scudetto”. A distanza di qualche anno, la Juve ringrazia.
Da Soulé a Yildiz: spesso i migliori talenti arrivano in bianconero dopo anni di scouting e trattative. Poi però c’è un ragazzo che a Torino ha cominciato in prova e da lì ha conquistato tutti: è la storia di Jonas Rouhi, un underdog. In quattro anni è passato dalle giovanili dell’impronunciabile Brommapojkarna a giocare da titolare in Serie A con la Juventus: “Lo aveva notato uno scout in Svezia. Sotto Natale stava finendo la stagione (in Svezia si gioca sull’anno solare) ed è venuto con noi a provare. Di solito per valutare i giocatori ci metto un paio di giorni, con lui sono bastati venti minuti: a fine allenamento era in sede a firmare”. Colpo di fulmine.
E pensare che, tra tutti i giocatori che Bonatti ha allenato, quello che oggi vale di più è stato solo una meteora in Italia. Da Torino ci spostiamo a Roma, dalla Juventus alla Lazio. Anno 2017: dal Portogallo arrivano in biancoceleste Bruno Jordao e Pedro Neto, rispettivamente 19 e 17 anni. Oggi, il primo si è perso in Polonia mentre il secondo è diventato il decimo esterno destro più costoso di sempre: dai Wolves al Chelsea per 60 milioni. “Si allenavano quasi sempre in prima squadra con Inzaghi: sono scesi in Primavera nelle mie ultime settimane alla Lazio. Neto era un ragazzo con grande gamba, sveglio e voglioso di imparare, ma non mi dava la magia che più tardi mi avrebbe dato uno come Soulé. Non sembrava così pronto per giocare alla Lazio, invece ha avuto una grande carriera: i percorsi sono così, c’è chi vien fuori prima, chi più tardi e chi alla fine non riesce”.
Storie e cammini che si intrecciano. A volte sei su, altre volte vai in down. Nel percorso di Bonatti c’è stato tutto questo: chi voleva andare al Torino e oggi è titolare della Juventus, chi alla Lazio faceva fatica e ora segna in una big di Premier. E c’è anche chi – come lui stesso – in Serie C non è riuscito a esprimersi e adesso vuole rifarsi all’estero. Una lezione da questa chiamata? Patience is key.
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