Calma. Per alcuni è uno sforzo inutile. È perdita di tempo. Occasioni mancate. Per altri è una virtù da coltivare. Che rende forti e resilienti. Un elemento essenziale e chiarificatore per prendere decisioni. La culla dei sentimenti. Il metronomo del ritmo con cui gli stati d’animo si alternano nella nostra mente. La strada che conduce alla tranquillità e alla pace con sé stessi. Per godere a pieno delle nostre capacità. Qualità innata o conquistata nell’arco della vita. L’importante è saperla gestire. Come fa Joshua Zirkzee, attaccante del Bologna. Lui, che agita i cuori dei tifosi rossoblù, ma esercita e preserva la calma del golfista. Fino alla fine. Un ragazzo “scagliato nel futuro” troppo presto che impara a valorizzare l’attesa. Perché “La calma è la virtù dei forti”. Quella che rende semplici giocate difficili.
La fretta. Quell’annosa sensazione di non essere all’altezza. Il farsi trascinare dalle circostanze e dalla convinzione che “l’altro” sia sempre meglio. Errori di valutazione della realtà che portano a convincersi che la serenità e la felicità risiedano all’esterno. Quando, invece, dipendono solo dal nostro stato d’animo e dalle nostre scelte. Perché nessuno ci conosce meglio di noi stessi. Spesso è solo questione di attesa. Di studio. Di capacità di cogliere il meglio dalle poche e all’apparenza insufficienti occasioni che il destino ci pone davanti. In un nome: Joshua Zirkzee. L’olandese del Bologna è l’esatta rappresentazione di tutto ciò. Zirkzee è calma. La sensazione di serenità che si fa spazio nel tempestoso incessante scorrere del tempo. Nel vortice delle delusioni e delle aspettative mancate che la vita da calciatore disegna nelle giornate del ragazzo. Zirkzee sa aspettare. Isolandosi sotto la sua chioma di riccioli, nella serietà del suo sguardo glaciale che lo presenta ai suoi avversari. Zirkzee è attendere e non demordere. Fino a quando sembra non esserci più tempo. Il Torino la dimostrazione. La responsabilità di dare sempre qualcosa in più. La paura di deludere chi crede in lui. Tanto impassibile quanto sensibile agli avvenimenti. Come accade al suo arrivo in Emilia quando al termine della prima stagione con il Parma ammetterà quanto quell’avventura sia da catalogare come delusione. Come ripeterà al termine dello scorso campionato quando dopo sole 19 presenze in Serie A ritiene di aver sprecato tempo. In quella Bologna dove Sinisa Mihajlović, cinico e schietto come il classe 2001, non esita a rilasciare elogi per il ragazzo. La voglia, la foga di crescere e confermare il proprio valore non hanno limiti. E così in Joshua inizia a svilupparsi la consapevolezza che per realizzare il suo intento serva solo pazienza. Resilienza e audacia. Anche se l’ostacolo si chiama Marko Arnautovic. Esempio, mai rivale. Da salutare con un sorriso amichevole che sa di sollievo quando saluta l’Emilia per la Milano nerazzurra.
Un ragazzo che fin da giovanissimo sembra non avere freni. Una discesa continua. Forse iniziata senza una vera e propria presa di coscienza. La realtà che investe i sogni e ad essi si sostituisce con forza. Quel Bayern Monaco che lo culla e gli regala l’ambizione di un’ascesa rapida e ricca di successi. In quell’Allianz Arena in cui cercare posto in attacco non è cosa facile. La dura legge di chiamarsi Lewandowski. La competizione che rinvigorisce l’autostima e porta a fare i conti con la realtà. La ricerca degli appigli ai quali aggrapparsi per vincere ansie, pressioni e “panchine”. Quel Robben che è sinonimo di conforto. La calma che inizia a farsi spazio. L’attesa di sbocciare. Di dare libero sfogo al proprio “Io”. Succede in Bundesliga, poi lì dove tutto è più dolce. Le certezze come basi della costruzione di un futuro. La piena presa d’attto che ricominciare dall’inizio non sia mai un fallimento. Madrepatria Olanda sottoforma dell’idolo Van Basten e l’Anderlecht insegnano questo. Lo sviluppo di quell’atteggiamento concreto e deciso che, oggi, è sinonimo di qualità. L’arte di ribaltare il nostro erroneo modo di pensare preparandosi per tempo. Controllare gli eventi e non farsi trascinare da essi. Andare a spasso con le circostanze. Passioni insolite e imprevedibili. Questo è essere Zirkzee. Camminare con serenità verso gli obiettivi come fra gli alberi ombreggianti dei Giardini Margherita. Perché Bologna è ritrovare sicurezza e spontaneità. Tutti uniti sotto l’egida di Thiago Motta. La calma per fare le scelte migliori. Anche al ristorante: tagliatella al ragù. Perché dove si sta bene è facile ambientarsi.
L’acquisita maturità che consente di comprendere il valore della razionalità. Per governare i nostri sentimenti. Seguire la virtù per costruire la tranquillità. Il mondo di Joshua Zirkzee a tinte rossoblù. Un giocatore che ritrova sé stesso. Che dosa la rabbia e la cattiveria agonistica accumulata negli anni e lo tramuta in calma e dolcezza attraverso colpi geniali e vincenti. San Siro, Dall’Ara o Mapei Stadium non fa differenza. L’armonia dei movimenti di Zirkzee avvolgerà la bolgia di qualsiasi stadio. Il numero nove sulle spalle con la fantasia del dieci. La calma dell’uno che si propaga nel collettivo. Palla tra i piedi, carezze dolci e delicate. Quelle che nella puerilità del gesto dona al suo fedele amico a quattro zampe ogni giorno. Trovare conforto e vivere di piccole cose. Per renderle grandi sul “green” degli stadi. Quegli interessi insoliti che ritornano. La padronanza della concitazione di un istante controllata con la leggerezza di un dribbling secco, un colpo delicato e preciso come un “putt” nell’angolino o un assist preciso e calibrato in stile “lay up” per Ferguson per ferire l’organizzata Lazio di Sarri. Concentrazione, pazienza e semplicità. L’elegante “filosofia emiliana” di Joshua. L’ammirazione e la fiducia di Motta come stimoli. E il Dall’Ara perso fra i suoi riccioli imponenti. Rendere banale ciò che non lo è. Joshua Zirkzee: “La calma è la virtù dei forti“.
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