Se c’è una parola che Daniel Boloca conosce bene, è “sacrificio”. Perché arrivare in Serie A non è mai da tutti, e questo lo sappiamo. Ma farlo dopo che tutti, o quasi, ti hanno detto di “no”, e a più riprese, è ancora più complicato. Il sogno di diventare chi sta diventando adesso, il centrocampista l’ha inseguito per anni. Ne ha 24, è tra le rivelazioni del Sassuolo dopo essere stato per tre stagioni, in crescendo, al Frosinone: ha fatto così bene da essere stato chiamato da Mancini qualche mese fa per uno stage in Nazionale. Dirgli predestinato però non sarebbe corretto: non ha potuto mollare mai, nemmeno quando la Serie D sembrava la sua massima categoria.
Quando era nelle giovanili della Juventus, sognava di diventare come loro: Vidal, Morata e non solo. Andava al campo, si allenava, e poi si faceva scattare qualche foto. Boloca (qui la nostra intervista esclusiva) era ai tempi un bambino nato a Chieri, vicino a Torino, da genitori romeni, che voleva giocare a calcio. E basta.
Ma poi erano arrivate le prime porte chiuse, così con i suoi ex agenti, Boscarato e Castelli, aveva provato a cambiare tutto. Primo provino, estate 2016: Slovan Liberec, a Praga. Una settimana intensa, ma un “no” arrivato quasi a sorpresa: non era stato superato il test di forza nelle gambe. Uno sforzo troppo più alto rispetto a quello che poteva dare allora. E quindi si era rimesso a cercare.
Ed era arrivata la chiamata dalla Slovacchia, dove lo aveva ingaggiato il Tatran Presov. Pieno inverno, viaggio di ore per arrivare in una città difficile, dove l’esperienza era stata a metà. Prima aveva giocato con la Primavera, poi era arrivata la prima squadra, ma solo per pochissime partite. Il rinnovo non era scattato, e quindi si era messo a cercare ancora.
La possibilità era arrivata dall’ex stella del calcio romeno Gheorghe Hagi: un passato nel Real e nel Barcellona (e pure nel Brescia, in Italia), tanti contatti. Per lui ci sarebbe stata la Serie B romena, in una squadra che però non aveva convinto il papà di Daniel: strutture scadenti, poche possibilità di crescita. E la paura di un ritorno in quella Romania da cui la famiglia Boloca era partita per cambiare vita. Passano altri 2 anni e si arriva al 2019, con tre esperienze in Serie D italiana da dimenticare e una carriera che sembra già ferma.
Ma quell’estate gli fa cambiare tutto: gioca un torneo amatoriale, trova un ingaggio da parte del Fossano (altra squadra vicina a Torino) ma soprattutto un allenatore, Fabrizio Viassi, che crede tantissimo in lui. Un po’ come aveva fatto Giuseppe Bosticco a Chieri. Viassi lo sposta un po’ più avanti per farlo segnare di più, Daniel si adegua e inizia a fare gol ma soprattutto a giocare con maggiore convinzione. Ed è qui che Nicola Mingazzini, braccio destro di Angelozzi che allora era allo Spezia, si innamora di lui.
Cominciano i contatti fino ad arrivare a un precontratto. Che però sembra un’illusione: nel 2020 arriva il covid, si ferma il campionato, lo Spezia trova sì la promozione ma Angelozzi se ne va. E chiama Boloca: “Quel precontratto rischia di non valere. Se aspetti, ti porto a Frosinone”. Detto, fatto. Daniel supera qualche resistenza di chi aveva dubbi sul fatto che fosse pronto a un salto come quello e convince soprattutto Grosso. “Segnatevi quel nome”, ripete l’allenatore in più conferenze.
Il giocatore non molla, cresce, e il Sassuolo decide di prenderlo. Perché l’umiltà premia, e anche la tenacia. Un po’ come quella della sua famiglia: con il padre che continua a lavorare in una fabbrica di Andezzeno (in provincia di Torino), la mamma casalinga e una famiglia che vede altri tre fratelli. Uno, Gabriele, è pure calciatore: ha una passato nella Juve e tifa perché Daniel possa crescere ancora. Il suo sacrificio è l’ispirazione più bella che possa esserci.
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