Domani guarderà Genoa-Milan dalla Turchia e sarà spettatore neutrale. “Non mi sbilancio. Sono state due piazze fondamentali per me, nonostante le cose siano poi andate in modo diverso”. Ma ci arriveremo. Andrea Bertolacci risponde una volta finito l’allenamento con il suo Kayserispor, squadra quindicesima nella Super Lig Turca. Nuova vita. Iniziata due stagioni fa dopo tanti anni in Italia, passati tra Genoa e Milan. “Avevo bisogno di cambiare tutto, sono contento della mia scelta”. Domani però, guardando San Siro, sentirà la partita un po’ sua tra i ricordi e il cuore diviso a metà.
Al Genoa è diventato grande, al Milan è stato per la prima volta in una big. Il legame resta ancora forte anche a distanza di anni. “Spero raggiungano entrambe i loro obiettivi. Ai rossoblù auguro di lottare fino alla fine e di salvarsi, al Milan dico di credere nello scudetto”. Non prende una parte, ne esce con classe come faceva in campo con il Genoa di Gasperini. “La considero una seconda casa. Sono stati cinque anni bellissimi. Mi hanno dato la possibilità di essere importante e di crescere come uomo. Ora avranno sette finali, dovranno crederci fino alla fine”.
Stesso discorso vale per il Milan. Andrea ne parla senza rimpianti e in modo sincero, lo senti dalla voce. “Quando arrivi a Milanello ti accorgi che è un altro mondo. Organizzazione, ritmi di lavoro e cura dei dettagli, tanta roba. Purtroppo le cose non sono andate per il verso giusto, ma la colpa non è stata solo mia”. Il dispiacere per quello che poteva essere e non è stato rimane, non solo a livello personale ma anche di gruppo: “Ora le cose sono diverse, nel mio Milan mancava un po’ di leadership e di guida. Diciamo che l’ambiente ha influito sul nostro rendimento. Parlo per me, mi prendo poi però le mie responsabilità. Anche quando sono tornato, con Gattuso allenatore, mi erano state fatte delle promesse che non sono state poi rispettate”.
Da qui il bisogno di cambiare vita. Valigia in mano e testa proiettata verso una nuova avventura. Un saluto all’Italia e un biglietto di sola andata direzione Turchia. “Una scelta che rifarei a occhi chiusi. Qui ho trovato la mia isola felice”. Tra gol, minuti e fiducia, Bertolacci ha ritrovato il sorriso, sentendosi di nuovo protagonista e al centro del progetto. “Al Fatih Karagumruk sono rinato. Un grazie alla società che ci ha creduto, un altro a Farioli che mi ha messo nelle condizioni di tirare fuori il meglio di me”. L’adattamento è stato più facile del previsto, merito dei tanti ex del nostro campionato presenti in squadra: “Da Borini a Biglia, Viviano e Castro, eravamo tantissimi. Calarsi quindi in questa nuova realtà è stato più semplice, mi sono sentito subito a casa. Con Istanbul poi è stato amore a prima vista”. Questione di feeling.
Oggi ha cambiato ancora, altro viaggio, stavolta a 600 km da Istanbul. Nuova esperienza a Kayseri, città dell’Anatolia centrale che fu conquistata dall’imperatore romano Tiberio che la chiamò Cesarea. Da lì, Kayseri. Duemila anni fa, altro mondo. Oggi Andrea è felice e guarda il nostro calcio da spettatore. “Lo scudetto lo vince chi sbaglia meno. Sarà una bella lotta. Sul campionato in generale penso ci sia un difetto di mentalità, in quanto si tende spesso a preferire gli stranieri rispetto ai giovani italiani. Il risultato di tutto è poi il fatto che non vai ai Mondiali. Anche se bisogna avere fiducia nel lavoro di Mancini e sperare che si possa ripartire con un nuovo ciclo”. Parola di chi l’azzurro l’ha vestito e lo porta nel cuore. “Indossare la maglia della nazionale è un’emozione unica che non ti so neanche spiegare. Io ora non ci penso… credo sia giusto lasciare spazio ai ragazzi che sono il nostro futuro”.
Idee chiare e grande sincerità. Senza paura di dire quello che pensa, ma guai a chiedergli un pronostico su stasera. È una questione di cuore, casa e ricordi.
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