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2 novembre 2019: Berlino entra nella storia del calcio

Karl e Tobias sono nati nella stessa città. Sono cresciuti insieme, le famiglie si sono frequentate per tanti anni. Poi però qualcosa nelle loro vite è cambiato. La città in cui vivono, Berlino, è diventata improvvisamente una prigione a cielo aperto. Non si vedranno più, fino al 1989. Precisamente fino al 10 novembre, il giorno dopo la caduta del muro. Ecco, Karl è tifoso da sempre dell’Hertha. Mentre Tobias, come tutta la famiglia, segue l’Union. Sabato 2 novembre se la vedranno insieme, Union-Hertha, per la prima volta nella storia in Bundesliga. 

Definire quello tra Union ed Hertha il derby di Berlino è corretto fino ad un certo punto. Vi chiedete perché? Beh, diciamo che la Guerra Fredda ha influito e non poco in questa storia che con il calcio si è intrecciata dalle sue origini. L’Hertha è la squadra della Berlino Ovest, e ha sempre militato (tra alti e bassi) in Bundesliga. Al contrario l’Union giocava prima della caduta del muro nella DDR-Oberliga, il campionato della Germania dell’Est per poi navigare in categorie minori del campionato tedesco. Così Hertha e Union si sono affrontate soltanto quattro volte nella storia. La prima fu il 27 gennaio 1990, quando l’Hertha ospitò un’amichevole per celebrare proprio la caduta dello stesso muro. 

L’Union è sempre stata vista in maniera positiva anche dai tifosi dell’Hertha, soprattutto quelli che supportavano la riunificazione della Germania. Perché l’Union è stata un simbolo. Di lotta, di protesta, di unità, come dice il nome stesso. L’Union era la rivale della Dynamo Berlino, la squadra della Stasi, ovvero l’organizzazione dello Stato che si occupava della sicurezza e di anti-spionaggio. Per questo l’Union non sarà mai vista in città in maniera negativa, anche dai rivali dell’Hertha. 

Oggi ovviamente però non siamo nel 1989, e qualcosa è cambiato. La rivalità è inevitabile e nessuno vuole perdere il primo derby nella storia, dopo l’incredibile e sorprendente promozione dell’Union della passata stagione. Ed è incredibile pensare che il primo derby (chiamiamolo così per facilità) si giochi esattamente trent’anni dopo la caduta del muro, anniversario che verrà celebrato il prossimo weekend. E proprio l’Hertha Berlino aveva chiesto di poter giocare questa partita in quella data. Ma l’Union, fin da subito, ha detto di no. Perché la squadra dell’Alten Försterei quell’occasione la vive con un senso di liberazione ma anche di malinconia, e il calcio con la politica dopo anni di lotta deve essere separato. 

“Non ogni tifoso dell’Union era nemico dello stato, ma ogni nemico dello stato era tifoso dell’Union”. Così l’Eulenspiegel, rivista berlinese, sintetizzò l’Union Berlino negli anni Ottanta. Impossibile farlo meglio. Una squadra storica, da sempre intrecciata con la politica e con lo stato sociale della città. La squadra incarnava i valori anti-sistema, contro quella divisione che aveva sconvolto vite di milioni di persone. Questo però non voleva dire essere di un partito politico, anche perché la tifoseria inglobava di tutto. Dalla subcultura punk (da cui deriva anche l'inno cantato da Nina Hagen), agli skinheads, i neo-nazisti e diversi studenti di varia estrazione sociale e politica. Tutto contro il regime dell’Est. Erano accomunati soltanto da quello che sapevano di non voler essere. Poi ovviamente dopo la caduta del muro è cambiato tutto, ma non l’appartenenza ad un club che per molti è stata una ragione di vita politica e sociale, oltre che sportiva. Attraverso l’Union si manifestava, si esprimeva un disagio. Gli slogan sono cambiati. Prima c’erano “il muro deve andarsene”, oppure “meglio essere un perdente che un maiale della Stasi”, oggi sono quasi tutti dedicati all’appartenenza per un club che ha significato tantissimo. E lo continuerà sicuramente a fare. 

Berlino è sempre stata criticata o vista come una delle poche capitali europee in cui il calcio non è protagonista. Non ci sono squadre vincenti, vero, ma qualcosa sta cambiando. E sabato ne avremo un primo assaggio. Berlino c’è, il calcio c’è, adesso anche il derby. 

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Francesco Porzio

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