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Benevento, Lucioni: “Questa maglia me la sento cucita addosso. Futuro? Non mi muovo da qui…”

Le cose che cambiano. Un anno fa Fabio Lucioni, dopo la promozione in Serie B era soprannominato lo “Zio”. Giovedì notte è diventato il “papà”. Tante cose sono cambiate per lui dalla famiglia al campo: “La nascita di mio figlio Gabriele mi ha dato quel qualcosa in più per cercare di fare il massimo ogni giorno”. Ternano di nascita, beneventano d’adozione: “Non credo ci siano dubbi. Da quando sono arrivato nel 2014 ho scoperto una città che non conoscevo. Tutti me ne avevano parlato bene e avevano ragione. Hai tutto e ti senti tranquillo e benvoluto”. In due anni tutto: doppia promozione, l’amore e un figlio: “Ho conosciuto Valeria dopo un anno che ero a Benevento e mi ha stregato” – racconta il capitano del Benevento in un’intervista a Il Mattino.

A distanza di un anno altra festa, questa volta per la A: “Gli ultimi minuti della partita contro il Carpi sono stati bellissimo. Si esultava in campo perché avevamo la percezione chela partita fosse già finita”. Promozione dedicata al nuovo arrivato di casa Lucioni: “A mio figlio va una dedica speciale, perché questa promozione è anche molto sua. Effettivamente non si stacca mai la spina perché il pensiero della partita successiva ce l’hai sempre, ma è normale che quando torni a casa ti si apre un altro mondo che è pieno di sorrisi, e quelli di Gabriele sono bellissimi. Mi riempiono la giornata e la vita”.

Dopo un campionato simile, Lucioni aveva attirato l’interesse di club della Serie A, ora conquistata con la maglia che ama: “Resto. Chi si muove? Quando una cosa tela vai a prendere da solo è ancora più bella. Anche perché questa maglia me la sento cucita addosso. E poi ci sono le pressioni familiari che te la fanno vivere ancora di più”. Cosa intende per pressioni familiari: “La famiglia di Valeria è formata da tutti tifosi sfegatati del Benevento e da un po’ di tempo hanno creato un gruppo su WhatsApp nel quale ci scriviamo di continuo. Tutti i giorni. Tutti i giorni tranne in questa giornata magica della partita contro il Carpi. Nessuno parlava. E allora a un certo punto sono intervenuto io. ‘Non abbiate ansia’, ho scritto. ‘Tanto al 32’facciamo gol, non arriveremo in bilico alla fine’. Ero sicuro perché ci giocavamo la storia”. E su questa storia c’è il suo nome scritto a carattere cubitali. 46 presenze, due gol e quel piatto d’argento di campioni dei playoff sollevato al cielo: “Un’emozione bellissima sollevare quel trofeo perché hai tutti gli occhi puntati su di te. Da casa mi sono arrivati messaggi da parte di chiunque, tanti che ancora non sono riuscito neanche a leggere”.

La medaglia la conserverà gelosamente: “L’ho data subito a Valeria perché la custodisca bene. Non è al collo di mio figlio perché è ancora troppo piccolo. Avremo modo di raccontargli tutto quando crescerà. Vogliamo che viva al meglio questi racconti”. Un’emozione che vale doppio quando sei il capitano. “La vittoria ha un sapore differente perché ti ricordano come il capitano della storia, ma vorrei spendere due parole per chi lo è stato prima di me. Su tutti Carmelo Imbriani che purtroppo ci ha lasciato, e un pensiero va anche a lui perché so che ha tifato per noi dall’alto”.

L’abbraccio con Baroni nel tunnel dello spogliatoio: “Nello spogliatoio del Benevento ci sono sempre stati degli uomini. Ci siamo sempre parlati con la massima chiarezza e ci siamo sempre detti tutto. Quando le cose andavano e quando no. Poi Baroni ci ha detto di fidarsi di lui e che fossimo andati ai playoff saremo arrivati in Paradiso. E ha mantenuto la promessa”. Infine svela un rito scaramantico creato nello spogliatoio lo scorso anno: “Bevevamo un bicchierino di vino di Gragnano prima di ogni partita. Il vino è rimasto. Ultimamente, poi, ne abbiamo aggiunti tanti altri di riti. Perché poi uno si attacca un po’ a tutto e quando vinci vuoi continuare a farlo”.

Redazione

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