Centinaia di vie strette che a passarci fai fatica, suoni di ogni dove, colori sgargianti e odori che stimolano l’appetito. A camminare nel Barrìo Gotico di Barcellona ci si perde spesso il senso del tempo e della misura, con la testa alta incantati a guardare finiture medievali o dipinti che spuntano d’improvviso, come in un museo all’aperto. L’attenzione alla realtà torna d’un tratto, quando in uno stretto passaggio di Carrer del Ample sale un suono familiare: “gol!” Stefano Sensi ha appena segnato il primo gol (di tre) contro la Sampdoria a Marassi – poi la rete sarà assegnata al compagno Sanchez – e per l’Inter si profila la sesta vittoria in altrettante partite. “La mano di Conte” – dice qualcuno – “Pazzesco pensare a come fino ad un anno fa non potevamo vederlo passare ed oggi ci sta simpatico come uno di famiglia”. Il Santobar – uno spazio minimo all’interno del Barrìo – il covo degli interisti di Barcellona, una città che le tinte nerazzurre le ha conosciute ormai dieci anni fa e sembra trovarle sul proprio cammino come fosse uno scherzo del destino. “Siamo nati ufficialmente dopo la partita tanto famosa, il 28 aprile, ma in realtà già da due anni il club era sostanzialmente formato”, racconta Francesco, oggi faccia e memoria storica del gruppo. “Avevamo difficoltà a vedere le partite qui in città, spesso dovevamo andare a Milano per stare accanto all’Inter, ma era diventato sempre più complicato. Così ci siamo detti: ‘Conosciamo così tanti interisti qui a Barcellona che potremmo farci un club’…” Detto fatto.
“Ce ne hanno dette e fatte di ogni colore in quella notte del 2010, io ero allo stadio ma gli altri amici che sono rimasti qui al bar a guardarla hanno avuto qualche minuto di difficoltà” racconta Ronnie, scappato dal lavoro per correre a vedere i suoi. Tra una cerveza e l’altra conserva ancora gli occhi emozionati quando ripensa alla mancata “remuntada”. “E noi ci chiamiamo così proprio da quella notte. Ci speravano, senza alcuna scaramanzia, passare il turno fu una emozione incredibile”. Sanchez, nel frattempo, ha raddoppiato alla sua prima da titolare e il Santobar è scoppiato ancora in festa, pur aspettando il VAR. “L’ho anche schierato da titolare al fantacalcio” esulta qualcuno dalle retrovie con un sorriso stampato sul volto. La vita di un interista a Barcellona è cambiata in quel mese di aprile del 2010, non soltanto per la creazione effettiva del club nerazzurro “La Remuntada” – ufficialmente riconosciuto dalla società negli ultimi anni – ma anche perché la finale a Madrid fu un appuntamento immancabile.
“Partimmo in bus a mezzanotte, fu un viaggio lunghissimo, ma visto il finale sarei andato anche a Pechino”. Oggi il club conta 40 iscritti, tutti o quasi presenti nello stesso posto da oltre dieci anni anche durante le partite di campionato. La Sampdoria è stato l’ultimo appuntamento prima del ritorno al Camp Nou, come un anno fa. “Tornare l’anno scorso dopo così tanto tempo è stata un’emozione per tutti noi, lo stadio a Barcellona per un tifoso nerazzurro avrà sempre un sapore particolare”, dice Matteo mentre Jankto fa suonare un piccolo campanello d’allarme. La Samp si fa sotto e l’Inter è da poco in dieci uomini. “Peccato aver perso un anno fa. Ma quest’anno speriamo di poter tornare a casa con almeno un pareggio, anche stavolta avremo una nostra delegazione allo stadio”. Un sorriso gli illumina il viso: Audero non trattiene e Gagliardini sigla il tris che chiude di fatto il match. Anche ai blucerchiati non riesce alcuna remuntada. L’Inter resiste in dieci proprio come quella notte al Camp Nou di quasi dieci anni fa. Conte e i suoi veleggiano verso la vetta della classifica mentre al centro del locale, tra maglie e gagliardetti, svetta fiera una t-shirt nera con scritta azzurra, ovviamente: “Dal 28 aprile 2010. Més que un Inter club”. I tifosi catalani non saranno poi così in disaccordo.
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A cura di Gennaro Arpaia
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