L’attaccante del Sarıyer a Gianlucadimarzio.com: “In Turchia mi trovo molto bene. Ogni tanto mando un messaggio a Iličić e Chiesa. Mihajlović voleva farmi diventare un ‘guerriero’”
“Io sono figlio di Firenze”. Un’esclamazione semplice, onesta, piena di gratitudine. Arriva da Sarıyer – un comune di Istanbul – e porta la firma di Khouma Babacar. L’attaccante senegalese, oggi 32enne, ha scelto di ripartire proprio dal Sarıyer, club della TFF 2. Lig, la seconda serie turca. “Sto bene, anche se c’è un po’ troppo traffico”, dice ridendo ai microfoni di Gianlucadimarzio.com. “Capita che, dopo l’allenamento, debba stare due o tre ore in macchina per tornare a casa”.
Babacar con la Fiorentina segna 39 gol. Firenze è il posto che sente davvero suo: “Ripenso spesso alla doppietta segnata all’Inter (Fiorentina-Inter 5-4, 22 apr 2017, ndr). Ma quello che mi porto dentro è il gol di testa al 90’ contro il Palermo (Serie A, 4/12/16, ndr)”.
‘Babesh’ – il soprannome datogli da Astori sul quale torneremo a breve – si illumina ricordando la Fiorentina, la Curva Fiesole e la società viola. “Vedere i tifosi felici mi rendeva orgoglioso. Lo ribadisco: io sono fiorentino al 100%. Se oggi sono il ‘Babacar’ che tutti conoscono è grazie alla Fiorentina”.
La stessa squadra dove conosce Federico Chiesa e Josip Iličić, due compagni con cui ha condiviso un pezzo di storia viola. “A entrambi auguro il meglio. Non ci sentiamo spesso: tutti abbiamo impegni, allenamenti, famiglia. Però ogni tanto qualche messaggio ce lo mandiamo”. Lo stesso che farebbe con il suo capitano, Astori.
Alla sola nomina del difensore, il volto di Babacar cambia. Non è triste: è orgoglioso. Orgoglioso di essere cresciuto accanto a lui. “Una delle perdite più importanti della mia vita. La persona più umile che abbia mai conosciuto. Era un fratello maggiore”.
Il ricordo si intreccia con la commozione. “Mi chiamava ‘Babesh’. È un soprannome che uso ancora oggi. La sua morte è paragonabile a quella di mio nonno, a cui ero molto legato”. Babacar era da poco passato al Sassuolo. “Era domenica mattina, poche ore più tardi avremmo dovuto affrontare il Verona. Quella mattina…” lo dice con il fiato strozzato in gola. “Leggo la notizia. Non capisco. ‘Di quale Davide parlano?’ Penso di star sognando. Poi realizzo. Non riesco a muovere le gambe, né ad alzarmi dal letto. Mi tremano le mani. Alla fine ho accettato: ‘Asto’ sarà per sempre un amico”.
A Firenze Babacar lavora con due allenatori: Stefano Pioli e Siniša Mihajlović. Del primo dice poco: “Una persona tranquilla”. Diverso il discorso per Mihajlović: “Voleva farmi diventare un guerriero, com’era lui. Ma io ero come Pioli: pacato, calmo. Mi era difficile seguirlo. Però oggi, se ho un carattere più deciso, è anche grazie a lui. Se sono un leader, è merito di Sinisa”. Parole di stima anche per Francesco Farioli e Roberto De Zerbi, conosciuti rispettivamente all’Antalyaspor e al Sassuolo. “Sono identici, entrambi con grandi ambizioni. Il primo mi ha convinto ad andare in Turchia. I loro allenamenti sono sempre molto intensi”.
Oggi Babacar veste la maglia del Sarıyer. Ma la testa torna spesso al Senegal. “Ho creato una fondazione per aiutare i bambini. Ho anche un centro sportivo dove possono giocare a calcio. Voglio ridare qualcosa al mio paese”. E prima dei saluti chiediamo a Babacar un’ultima domanda: qual è il gol più bello della sua carriera? Non ha esitazioni: “L’ho accennato poco fa: il primo dei due gol contro l’Inter, un colpo da biliardo. Il tacco contro l’Udinese no, quello è stato puro istinto mentre l’altro è stato molto più ragionato. Il pallonetto contro la Sampdoria? Sapevo che Viviano era solito posizionarsi un po’ più avanti rispetto alla linea di porta e ho deciso di calciare così”. Babacar sorride mentre ripensa a tutto: Firenze, gli amici di una vita, le occasioni mancate e quelle afferrate. Oggi è lontano, a Istanbul, ma il filo non si è mai spezzato. Il suo viaggio continua. Ma qualunque strada prenderà, una parte di sé sarà per sempre sotto la Curva Fiesole.
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