Atieh Mazi - Credits: Simone Li Gregni
Tra arte, sport e resistenza: la testimonianza della capitana della squadra femminile iraniana Atieh Mazi accende i riflettori sulla realtà del calcio femminile in Iran
In Iran, per una donna giocare a calcio significa muoversi ogni giorno dentro confini rigidi e spesso invisibili. Dalle restrizioni sull’abbigliamento alle limitazioni sugli orari, dalle strutture poco accessibili agli sguardi diffidenti che accompagnano ogni passo di una persona che sceglie di praticare uno sport “non previsto” per lei.
Eppure, il calcio continua a esercitare un fascino irresistibile sulle giovani iraniane, che vedono nel colore verde di un campo da gioco uno spazio in cui il corpo può finalmente muoversi senza chiedere permesso.
In questo scenario complesso, la Swann Art Gallery di Torino ha scelto di dare voce proprio a queste esperienze attraverso l’evento “Corpi in Movimento: Pittura e Calcio come Atti di Libertà”, svoltosi l’8 dicembre 2025. Accanto alla pittura potente e simbolica dell’artista iraniana Hanieh Eshtehardi e le parole della stilista Elham Khezri il calcio è entrato in galleria per raccontare un altro modo di esprimere resistenza: quello del corpo che corre, che lotta, che non accetta di essere fermato.
Tra le protagoniste dell’incontro, la capitana della squadra femminile iraniana di Torino Atieh Mazi, che ha portato la propria esperienza personale di calciatrice cresciuta in Iran. Parole intense e dirette le sue, frammenti di vita che dimostrano quanto il calcio possa diventare un atto politico, un gesto di libertà e un modo per affermare la propria identità. Di seguito, le sue dichiarazioni ai nostri microfoni.
Per Atieh Mazi, in Iran, giocare a calcio significava sfidare regole e giudizi quotidiani; in Italia, la passione per questo sport le ha finalmente restituito autonomia e spazio per sé stessa. Sposata e madre di un bambino, la capitana della squadra femminile iraniana di Torino racconta come il pallone sia diventato non solo uno strumento di gioco, ma un mezzo per affermare la propria identità: “Ho iniziato a giocare a calcio da bambina, sempre insieme ai maschi, perché mi piaceva davvero tantissimo. Mio fratello, che ha dodici anni più di me, seguiva tutte le partite dei Mondiali: con lui ho imparato a conoscere le squadre, i giocatori, tutto il calcio italiano. Mi ricordo che adoravo Gianluca Pagliuca, ero fissata con i portieri. Sono cresciuta così, guardando partite e giocando appena potevo”.
Atieh Mazi arriva in Italia nel 2019 per studiare al Politecnico di Torino e scopre un club calcistico tutto al femminile, formato da donne e ragazze iraniane: “Ho trovato su alcune pagine Facebook della comunità iraniana a Torino un annuncio: il nostro allenatore cercava ragazze che volessero giocare, anche senza grande esperienza, solo per passione. Mi sono presentata subito. Oggi la squadra comprende studentesse e lavoratrici, con un’età compresa tra i 20 e i 45 anni, e io sono molto orgogliosa di essere capitana e punto di riferimento per tutte”. La squadra allenata da Kasra Chalabi, noto per il suo impegno nel calcio femminile e nella promozione dei diritti delle donne, ha ottenuto importanti riconoscimenti: nel 2024 si è classificata seconda alla Balon Mundial Community, la Coppa del Mondo delle Culture dedicata alle comunità migranti sportive di Torino, ed è stata protagonista di due film che ne raccontano la storia.
Per Atieh, il calcio è sempre stato molto più di un gioco: è una forma di libertà. Arrivata in Italia, ha potuto sperimentare per la prima volta ciò che in patria le era vietato: correre liberamente. “La prima vera sensazione di libertà l’ho avuta appena arrivata in Italia a Torino: per la prima volta ho potuto correre con i capelli sciolti sulla schiena. Ricordo ancora quella sera. Ero in hotel, mezzanotte passata. Mi sono messa pantaloncini corti, maglietta sportiva, cuffie, musica, e sono uscita a correre. Ero viva. Non avevo mai potuto farlo prima. In Iran correvamo con vestiti larghi fino al ginocchio, leggings, velo fermato con un elastico. Una volta mi hanno perfino arrestata perché indossavo solo i leggings: la polizia mi ha fermata per strada, ha preso il mio telefono, mi ha portato in caserma e ha chiamato mia madre dicendo di portare pantaloni più larghi. Anche per fare sport a 40 gradi dovevamo essere completamente coperte”.
“In Iran non è semplice per una bambina decidere di giocare a calcio. Devi lottare prima con la tua famiglia e poi con la società, piena di giudizi. Vivi per quello che diranno e che ti faranno gli altri: come esci vestita, che cosa sogni di diventare, a che ora torni a casa… Io litigavo sempre con i miei, non rispondevo al telefono, tornavo dopo mezzanotte e poi per giorni non si parlava. Ma alla fine facevo quello che volevo. Anche convivere con il mio compagno prima del matrimonio sarebbe stato impensabile in Iran. Qui va bene, lì sarebbe stato pericoloso”.
“Io sono fatta così, combatto” – racconta Atieh Mazi. “Mio marito dice che ce l’ho dentro da sempre, e forse è vero. Mi piace anche lo scontro fisico nel calcio, soprattutto quando giochiamo con i maschi. Mi dà soddisfazione. E vorrei che tutte le ragazze iraniane che desiderano giocare a calcio non avessero paura: bisogna resistere, rompere i tabù, anche se è difficile”. Sulle possibilità per le donne di andare allo stadio in Iran, Mazi spiega: “«“A volte, sempre e comunque rare, sì, altre, la maggior parte, no. Chiudono, riaprono, cambiano le regole senza che esista una legge chiara. Dopo il movimento di protesta “Donna, Vita e Libertà”, nato nel 2022 in seguito alla morte di Mahsa Amini, qualcosa è cambiato ma, secondo me, si tratta solo di una pace momentanea”.
Oggi, però, la giocatrice iraniana può seguire le sue passioni liberamente: “Il 17 dicembre andrò a vedere la Juventus Women contro il Manchester United all’Allianz Stadium». Un calciatore che ammira è l’ex Inter Taremi, ma il suo cuore resta sempre bianconero: “La mia squadra del cuore è la Juventus”. Rompere i tabù e non arrendersi: oggi Atieh Mazi può correre liberamente, con i capelli sciolti, senza paura.
A cura di Lorenza Giustizieri
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